Pietro Aretino

Quando il discorso cade sull'Aretino, la prima cosa che viene in mente è la celeberrima epigrafe che gli indirizzò Paolo Giovio:

"Qui giace l'Aretin, poeta tosco,

di tutti disse mal fuorchè di Cristo

scusandosi col dir: Non lo conosco."

Ma il nostro non era un uomo da accusare il colpo senza replicare:

la sua risposta non si fece attendere:

"Qui giace Giovio, storicone altissimo,

di tutti disse mal fuorchè dell'asino

scusandosi col dir:

Egli è il mio prossimo."

Questa schermaglia ironica e pungente fa capire perchè, nel variegato panorama letterario del rinascimento italiano, Pietro Aretino occupi un posto sicuramente scomodo e quanto meno... scabroso.

I suoi entusiastici ammiratori lo chiamarono "poeta favoloso", mentre gli implacabili detrattori lo definirono "mostro infame": ma forse, come sempre, la verità sta nel mezzo.

Egli dimostra infatti, nelle sue esternazioni letterarie, indubbie qualità di artista geniale e fantasioso, anche so non possiamo negare che i temi da lui trattati ed il linguaggio intemperante e scurrile che spesso adopera non sempre suscitano ammirazione in chi legge.

Ma chi è stato, in effetti, Pietro l'Aretino ?

Nacque in Arezzo da Luca, ciabattino, e da Margherita dei Bonci (detta Tita), nella notte tra il giovedì ed il venerdì Santo dell’anno 1492 ( e cioè tra il 19 e 20 aprile),

Pubblicò il suo primo libro di poesie a soli vent'anni : una raccolta di strambotti, sonetti,

epistole e pasquinate che mettevano alla gogna principi e prelati, nobili e uomini d'arme.. in una parola i "potenti" dell'epoca.

Sia nei "Sonetti lussuriosi" - che uscirono dodici anni dopo suscitando un vero scandalo -come pure in tutte le sue opere successive (I Ragionamenti - Le carte parlanti - I cinque libri delle Lettere) egli propugna un antipetrarchismo di istintiva ribellione contro le ipocrisie della nobiltà, alla quale peraltro non lesina adulazioni e richieste di favori.

Scrittore quanto mai discusso e discutibile (anche nei suoi numerosi lavori teatrali),

l'Aretino è stato capace di mischiare le sue indubbie qualità di artista con le innate doti dimagistrale corruttore del proprio secolo.

Giovanni Papini lo definirà "il più famoso mandrillo questuante della letteratura universale" e Cesare Cantù "un masnadiero della penna": va detto tuttavia - a sua parziale giustificazione - che egli portò in sè tutte le contraddizioni di quel secolo splendido e turpe nello stesso tempo, nel quale il potere nasceva dall'essere più violenti degli altri e la libertà dal saper usare maggiore licenza.

Pur con tutti i limiti posti alla sua opera dalla costante predilezione per gli aspetti deteriori della realtà, non si può non riconoscere a Pietro Aretino un grande merito: quello di aver precorso la stampa giallo - rosa di certo giornalismo odierno, rendendo di pubblico dominio le nefandezze, gli intrighi, le frodi, gli inganni, la sfrenata sessualità, gli adulteri, le lotte di potere che serpeggiavano nei palazzi dei principi e nella stessa corte papale.

Per questo egli si conquistò la fama di "poeta maledetto" e le sue opere vennero messe all'indice dal Sant'Uffizio : ma non possiamo dimenticare che, pur essendo un gaudente vissuto sempre al di fuori di ogni norma, un "irregolare" della cultura, egli sapeva però scrivere in "ben colorito italiano" mescolando nei propri versi - con rara maestria ed innegabile foga letteraria - le gioie e i dolori della vita.

del Prof. Massimiliano Badiali