Piero della Francesca

 

Nacque a Borgo S. Sepolcro nel 1420 circa, ed qui morì nel 1492. La riforma fiorentina fu diffusa nella Toscana orientale, in Romagna e nelle Marche del Nord, da Piero della Francesca, discepolo di Domenico Veneziano (il Vasari attribuisce al Veneziano l’introduzione in Toscana della pittura ad olio) un naturalista dallo stile raffinato, dotato di raro senso della luce. E’ uno dei numerosi spiriti italiani in cui la genialità artistica si unisce alla ricerca scientifica. Grandissimo prospettico e autore di un rinomato trattato di prospettiva, non abusa mai a vuoto di tale facoltà, il suo raro senso della luce e del chiaroscuro, la beltà robusta dei nudi e l’esattezza dell’anatomia l’audacia degli scorci, il ricco sentimento della natura preservano dall’aridità la sua arte grave, maschia ed eroica, alla quale le preoccupazioni teoriche conferiscono una corposità statuaria e un’immobilità quasi spettrale. Non è che a Pietro faccia difetto il senso del moto: ma egli coglie le sue grandiosi figure e le sue scene durante un attimo di pietrificazione. Lavorò per Sigismondo Malatesta a Rimini, più tardi per Nicola V in Vaticano.

L’attività di Piero si svolse prevalentemente fuori di Firenze:

in città come Urbino, Arezzo, Rimini, Ferrara e, naturalmente, in patria. Al tempo del primo suo soggiorno urbinate appartiene la Flagellazione, dove Piero esclude (come gli è congeniale) qualsiasi inflessione drammatica; importa invece l’assoluta interdipendenza tra figure e spazio: nel senso che i personaggi, poggiando fermamente sul pavimento sfuggente, as­sumono dignità architettonica. Il grandeggiare delle figure è del resto accentuato dal punto di fuga prospettico che in Piero, come in Masaccio, viene situato più in basso delle teste delle figure.

Negli affreschi della Leggenda della Croce, Piero universalizza, e rende gravido di un significato segreto, di un senso ineluttabile, la presenza contemplativa grandiosa e meditativa dei personaggi, situati entro lo spazio prospettico luminoso, costruiti ad esaltare i singoli, arcani episodi.

Verso il 1465, quando in Urbino dipinge il Dittico dei Duchi Piero  mostra di aver considerato i metodi della pittura fiamminga. Così  in opere come la Madonna di Senigallia, o la Natività di Londra, l’artista raggiunge certe lucidità di smalto tuttavia denso, nella mescolanza di colore, luce, chiaroscuro; e altrettanto nella ricerca dei colori luminosi impiegati a rappresentare i particolari delle cose a grande distanza.

Nella Pala di S. Bernardino (ora a Brera), la presentazione dei personaggi avviene entro un archivolto, che nelle proporzioni architettoniche coincide con le ispirazioni spaziali di un Laurana e di un Bramante. Il particolare delle mani del Duca Federico è stato però eseguito non da Piero, bensì dallo spagnolo Pedro Berruguete.

Egli seppe donare alle su opere un’atmosfera tutta moderna. I magnifici paesaggi che fanno da sfondo ai suoi quadri sono tali da dare l’illusione della verità, e in essi c’è tutta quella verde terra di Toscana con suoi monti, i piani, gli olivi, cipressi, i ruscelli, con le torri i castelli, i colori intensi, l’armo nia, che fece esclamare al Foscolo:

  Lieta dell’aer tuo veste la luna di luce limpidissima i tuoi colli per vendemmia festanti, e le convalli popolate di case e d’oliveti, mille di fiori al ciel mandano incensi.

Così, le figure umane dipinte da Piero si stagliano su di uno scenario che è nello stesso tempo realistico ed altamente poetico, e vivono in una interpretazione solenne della natura. Le opere più celebri di Piero della Francesca sono la «Storia della Croce » che forma una serie di affreschi nella Chiesa di S. Francesco in Arezzo, la «Flagellazione » che si trova nel Palazzo Ducale di Urbino, la «Risurrezione» conservata a Sansepolcro, il famoso ritratto di Sigismondo Malatesta, e il « Presepe » che si può ammirare a Londra, alla National Gallery.

Le figure femminili che compaiono nei quadri di Piero, per l’intensa spiritualità dell’espressione e la particolarità della bellezza, sono uniche nella storia della pittura.

Piero della Francesca, nato a Sansepolcro fra il 1415 e il 1420, dopo aver lavorato in molte città italiane, si ritirò, in vecchiezza, nel paese natale, e passò tristemente gli ultimi anni della sua vita, affetto da cecità. Oltre che esser pittore grandissimo (è infatti considerato uno dei maestri del Rinasci­mento) egli scrisse libri di aritmetica e geometria.

Verso il 1466 terminò i suoi celebri affreschi del “Coro di san Francesco” ad Arezzo, rappresentandovi episodi della “Leggenda della Croce”. Qui fa tesoro della ricchezza superba del suo genio plastico, creando un’umanità superiore che sembra scolpita nel marmo colorato; erge sodi giovani ignudi nella “Morte di Adamo”, spiega luminosi e strani cortei in atrii corinzi e in fronzuti pomari nell’ “Arrivo della regina di Saba”; nella “Scoperta della Vera Croce” si rivela potente mimico e limpido paesista; nella “Battaglia di Cosroe” è fantasmagorico e tomultuoso; nel “Sogno di Costantino” infine percorre, nella bellezza e nell’ardimento dell’effetto luminoso notturno, il Raffaello della “Liberazione di S. Pietro” e il magico luminista Rembrandt. Nel 1469 Piero fu chiamato a lavorare alla Corte di Urbino dal Federico da Montefeltro, il saggio condottiero e mecenate: e fra l’altro lo dipinse in un prezioso dittico, oggi agli Uffizi, le sembianze del Duca e della Duchessa con una efficacia psicologica e panoramica fa pensare alle più belle prove del ritratto fiammingo. Attestano l’energia e la gravità del suo temperamento la nobiltà della sua arte numerose opere sparse nelle collezioni d’Italia e di Europa: fra le più importanti si citano la “Resurrezione”, affresco nel Palazzo Municipale di San Sepolcro, il polittico della “Madonna della Misericordia” in quella Pinacoteca, La flagellazione di Cristo, nella Galleria di Urbino, e la grande pala, con la “Madonna dei santi” nella Galleria di Brera a Milano, attribuita da una parte della critica al suo allievo Fra’ Carnevale da Urbino. L’influenza di Forlì, Luca Signorelli, il Bramante, Lorenzo da Viterbo. Francesco del Cossa diffondono rispettivamente in Romagna e nelle Marche, nell’Umbria e nel Lazio, in Lombardia e a Ferrara, quel nuovo senso maschile e imperioso della forma, quella valutazione esclusiva del valore plastico, all’infuori dai lenocinii miniaturali e dalle grazie decorative. La sua potenza diffusiva benefica non è paragonabile che a quella di un grande pittore suo contemporaneo che gli assomiglia nella sodezza dello spirito: Andrea Mantegna.

IMMAGINI dalla "Leggenda della vera Croce" affresco del 1452- 60 ca. ora esposto nella chiesa di S. Francesco ad Arezzo.

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Opere principali

  § "Leggenda della vera Croce" affresco del 1452- 60 ca. ora esposto nella chiesa di S. Francesco ad Arezzo.

  § "Ritratti dei Duchi di Montefeltro" tecnica mista su tavola si presume che sia stata dipinta intorno al 1465, ed ora esposto nella Galleria degli Uffizi di Firenze.

  § "Madonna del parto" affresco del 1460 ca. esposto nella Cappella del cimitero a Monterchi.

  § "Sigismondo Pandolfo Malatesta" affresco del 1451 esposto al Tempio Malatestiano di Rimini.

  § "Polittico della Misericordia" tecnica mista su tavola del 1445-62 esposto nella Pinacoteca comunale di Sansepolcro.

  § "La resurrezione di Cristo" affresco del 1463-65 esposto nella Pinacoteca comunale di Sansepolcro.

  § "La flagellazione di Cristo" tecnica mista su tavola del 1455-60 esposto nella Galleria nazionale delle Marche ad Urbino.

  § "Madonna di Senigallia" tecnica mista su tavola del 1470 ca. nella Galleria nazionale delle Marche ad Urbino.

  § "Battesimo di Cristo" tecnica mista su tavola del 1448-50 ora esposto alla National Gallery di Londra.

  § "Natività" tecnica mista su tavola si presume che sia stata dipinta intorno al 1475,ora nella National Gallery di Londra.

  § "Pala di Brera: Madonna col Bambino, angeli, santi e il duca Federico da Montefeltro" tecnica mista su tavola del 1472-74 ora nella Pinacoteca di Brera a Milano.