CAPITOLO II

L'ESISTENZA COME SINTESI

Il concetto di sintesi.

Il fatto che l'esistenza sia un dovere impartito ad ogni uomo, presuppone la comprensione della sua sintesi. Questo concetto è esposto da Kierkegaard nel Concetto di angoscia e La malattia mortale. Se l'esistenza umana si determina come sintesi in tutti gli aspetti in cui si presenta, non è un insieme statico di fattori. L'uomo è una sintesi nel senso che il fatto che i fattori umani si rapportino tra loro permette di fargli ricevere la determinazione di essere persone.

 

Il Concetto di Angoscia e la Malattia Mortale.

Lontani dal suo tempo, i due saggi sembrano avvicinarsi ai trattati edificanti del tempo patristico, e medioevale sulla miseria dell'uomo e sui tormenti del peccato. Entrambi sono scritti da Anticlimacus che è un personaggio che ha il compito di essere cristiano, la cui cristianità tetica si oppone alla cristianità mondanizzata.

Per Kierkegaard la filosofia trascendentale e il positivismo scientifico ignorano l'essenza dello spirito. L'idealismo riduce la negatività in un momento dialettico, così facendo dissolve il peccato e il singolo nel tempo come fenomeno del divenire della storia. Il positivismo, invece, allontana l'uomo dal suo tormento cioè dal conoscersi.

 

La malattia mortale si pone come frammento di antropologia filosofica e come scritto edificante. "Angoscia, disperazione, colpa, peccato, pentimento, assurdo, paradosso, fede e sofferenza sono caratteristiche a sfondo emozionale e di tenore etico religioso che si saldano fra loro non già mediante rapporti logici e intellettuali (…), ma in virtù di grandi coordinate esistenziali al cui centro ritroviamo il singolo, l'esistenza, l'uomo concreto della vita quotidiana". L'antropologia kierkegaardiana è un io che non si assesta tranquillo nella sua mediocrità, nel piacere e nella vita frammentaria, ma è una sintesi di infinito e finito alla ricerca di trascendenza da sé.

Secondo Kierkegaard nel Concetto di Angoscia, lo spirito (Aand) è il potere determinante della sintesi e la sua posizione è la condizione dell'unione e della separazione dei fattori nel rapporto. Il terno corpo-anima-spirito ha una dissimetria fondamentale: solo lo spirito porta la sintesi, opponendosi all'anima e al corpo.

 

 

L'angoscia.

L'angoscia e la sua dimensione vengono trattate in Il Concetto dell'Angoscia, dove Kierkegaard ci dice che l'angoscia si inscrive nell'immediato come presentimento di risveglio dell'animo. L'angoscia non è una determinazione necessaria della natura, ma positiva della libertà. L'angoscia è la preistoria della libertà. Essa rivela il senso di peccato che c'è nell'uomo; è il desiderio di ciò di cui si ha paura. Alla concezione panteistica della divinità è al fatto che Cristo rappresenti il vertice dell'autocoscienza dell'uomo (Hegel) e inoltre alla concezione di Feuerbach, di Strauss e di Marx della teologia sostituita con l'antropologia (cosicché al posto di Dio è posto l'uomo) e alle negazioni della divinità di Cristo (Spinoza, Reimarius e Lessing) oppone la professione di fede nicena e vede nel dogma atanasiano dell'unione ipostatica il punto centrale del cristianesimo e la via di scampo alla disperazione.

Secondo Kierkegaard "l'angoscia è il presupposto del peccato originale rispetto alla caduta di Adamo ed Eva come lo è per la caduta nel peccato di ogni loro discendente. Il suo soggetto è pertanto il nulla ed è pertanto questo nulla che rivela all'uomo di essere una sintesi di anima e corpo nello spirito: quando questa sintesi viene tolta con la caduta l'uomo si accorge di essere un peccatore davanti a Dio. Prima del cristianesimo l'angoscia per i greci era nel destino, mentre per i giudei nella colpa.

L'angoscia è perciò puro sentimento del possibile. Il possibile corrisponde al futuro. Per questo angoscia e futuro sono congiunti.

 

 

Il peccato.

Per Kierkegaard come per il cattolicesimo, il peccato è il rifiuto dell'amicizia con Dio che si è offerto all'uomo. Tutte le leggi a cui il popolo di Israele deve obbedire hanno lo scopo di assicurare la comunione con Dio. Il peccatore è colui che non ascolta la voce del Salvatore, che agisce contro l'alleanza. In Il Concetto di Angoscia Kierkegaard parla del peccato originale e qui la sua visione non è "né cattolica né protestante. Il peccato originale viene distinto dalla concupiscenza luterana e riferito alla decisione della libertà come tale considerata però nella sfera dell'immanenza del soggetto". Per i luterani l'immagine di Dio impressa nell'uomo e distrutta dal peccato rimane un tenue residuo, per noi cattolici nel peccatore c'è la perdita almeno parziale dei doni soprannaturali e la permanenza della natura, anche se ferita dal peccato.

Per Lutero il peccato originale appartiene alla natura e comporta la perdita di tutte le forze e delle facoltà dell'uomo cioè la corruzione totale della natura, perché l'uomo cerca il fondamento in sé e non in Dio: così l'uomo corrotto dal peccato non è liberato né con il battesimo né con la fede. Per il filosofo l'individuo, come pensa San Tommaso, ha in sé il peccato originale (la pena del danno) e in potenziale la pena del senso (cioè i peccati personali). Ha così in effetti un rapporto soggettivo con la possibilità del peccato.

Per Kierkegaard l'individuo è nello stato equivoco di un'innocenza colpevole (per generazione) e di una colpa innocente che si traduce nella malinconia dell'innocenza perduta e nella possibilità del peccato.

Il peccato crea angoscia prima che la libertà dell'uomo possa o non compiere pene del senso. Per noi cattolici il peccato originale, come affronta il Concilio di Trento, porta alla perdita della santità e giustizia originale, ed è trasmesso per generazione (cioè da padre a figlio). Solo Cristo, ultimo Adamo, ci ha redento (Paolo Rm 5, 12-21) e tramite il battesimo ha permesso la nostra salvezza poiché la Grazia perdona il peccato originale.

Per Kierkegaard invece, dal momento che non crede che il battesimo lavi il peccato originale, quest'ultimo è un residuo che di continuo vive dentro l'uomo, quasi divenendo una categoria ontologica della natura umana estranea alla volontà e alla libertà dell'individuo.

 

La Malattia Mortale parla della disperazione e dell'angoscia per dimostrare che nascono dal peccato. "Nel cristianesimo il peccato è atto di libertà e il suo muoversi verso la propria perdizione: perché l'io si scandalizza perché non supera la possibilità dello scandalo". Con la venuta di Cristo l'uomo non si trova solo davanti a Dio, ma a Gesù uomo come noi. L'uomo-Dio dà scandalo esistenziale, è il nuovo Adamo che si è incarnato per strapparci dalla disperazione del peccato. Kierkegaard distingue così fra peccato originale e primo peccato. Le due nozioni non possono essere confuse per la difficoltà inerente alla conciliazione di possibilità ed attualità del peccato perché "ciò escluderebbe Adamo dalla storia, non potendosi di fronte ad essa giustificare, non solo per il presente, ma neppure per il passato, l'esistenza di un tale presupposto". Questa contraddizione si supera nella storia. Con la continuazione della specie, avviene poi la giustificazione individuale e insieme storica del peccato di Adamo; per Adamo, progenitore della stirpe umana, per generazione, il peccato vale per sé e per gli altri.

 

 

Il pudore.

All'angoscia che si manifesta nell'animo davanti allo spirito, corrisponde il pudore davanti al riconoscimento di questo corpo determinato come sessualità. La coscienza del corpo come di una alterità allo spirito non è separabile dall'idea di un divenire di animalità nell'uomo.

La sessualità ha un significato perché l'uomo conosce la differenza sessuale rispetto a quella dello spirito e si angoscia davanti alla scissione che pone il sesso. Se Adamo non avesse peccato il sesso non sarebbe entrato nell'esistenza come desiderio.