Realismo, pittorialismo, illusionismo

 

Fin dai primissimi anni, venne a determinarsi una lotta fra due concezioni della fotografia: quella di chi la vedeva come uno specchio fedele delle cose e quella di chi la considerava come una verità poetica, non dissimile dalla verità soggettiva degli autori di tutte le arti.

La lotta fra dagherrotipisti e calotipisti è la prima manifestazione della lotta fra queste due concezioni.

Diversamente da come oggi qualcuno può suppone, la scelta dell'uno o dell'altro procedimento non era legata alla possibilità di usare o meno il negativo. Perché se la scelta si fosse fondata su tale questione, il problema non si sarebbe posto, in quanto tutti avrebbero preferito usare il negativo, per avere una quantità virtualmente infinita di copie. La possibilità di usare il negativo fu, semmai, per il "partito" della verità poetica, un incentivo ulteriore, ma di per sé non sufficiente; così come il fatto di non poter disporre di esso non costituì alcun problema per i dagherrotipisti.

Questi ultimi, insieme al grande pubblico, preferivano la maggiore definizione delle immagini dagherrotipiche, che proprio per il fatto di essere realizzate su una lastra di rame argentato davano l'impressione di uno specchio metallico, o come disse qualcuno "uno specchio fornito di memoria".

Le immagini ottenute dai calotipi - con la tecnica della stampa al sale' - hanno, invece, una superficie "mat" e le figure sembrano appena incorporate nella carta. Esse avevano la delicata incompletezza di corti disegni. Ragione per cui la calotipia conquistò un pubblico assai ristretto e, conseguentemente, un minor numero di praticanti.

Ma nonostante la somiglianza delle stampe dei calotipisti ai disegni di carta in loro vi fu il desiderio di astrarre un linguaggio nuovo di chiaroscurali allegorici. La calotipia non fu perciò mero pittorialismo.

Fra i più noti calotipisti ricordiamo Maxime Du Camp, Charles Marville, Henri Le Secq, Charles Nègre, Hippolyte Bayard.

Più numeroso il numero dei dagherrotipisti, che svolgevano soprattutto lavoro di ritrattisti. I loro tempi di esposizione variavano dalla frazione (16,5 x 21,6 centimetri) si andava da 20 a 50 secondi; per quello della lastra (11,4 x 14 centimetri) da 15 a 30 secondi; fino ad arrivare al nono di lastra (5,1 x 6,4 centimetri) per il quale occorreva solo una frazione di secondo.

Ciò apri la strada a un esercito di fotografi e una folla di clienti, soprattutto in Arnerica, dove per un ritratto di un sesto di lastra si pagavano soltanto due dollari, mentre si arrivava a 30-40 dollari per un dagherrotipo a lastra intera,.

A questa rapidità del dagherrotipo si giunse veno la fine dei 1840, quando l'inglese John Frederick Goddard scoprì che la lastra argentata, sottoposta ai vapori di iodio e subito dopo a quelli di bromo. diventava molto più sensibile. Nello stesso anno venne messo in vendita un obiettivo progettato dall'austriaco Joseph Mas: Petzal che aveva una luminosità molto maggiore di quelli applicati agli apparecchi messi in vendita da Daguerre: vale a dire aveva un'apettura di diaframma .3,6 mentre quelle fabbricato da Chevalier per l'inventore parigino raggiungeva soltanto f/I 7.