CAPITOLO I

IL PENSIERO DELL'ESISTENZA

Le Briciole e la Postilla nella produzione kierkegaardiana.

In queste due opere Kierkegaard affronta il problema di quale sia la verità che salva. Le due opere sono di Johannes Climacus cioè di un pensatore che vuol smascherare il trucco della speculazione Hegeliana e con la guida di Socrate accenna all'unica verità che salva, la fede in Cristo. Le Briciole "espongono la dialettica del problema oggettivo del costitutivo della verità che salva come paradosso, la Postilla, invece, tratta del problema soggettivo del come il singolo esistente si può appropriare della verità che salva. Ambedue gli scritti trattano della dialettica della fede: la prima determina il momento dialettico cioè il costituirsi dell'oggetto della fede come il paradosso e quindi come scandalo, la seconda il momento patetico del rischio della fede (…). Kierkegaard ritiene che il cristianesimo sia un paradosso e che la fede vada al di là della ragione; inoltre considera Socrate, Lessing, e Hegel come indicativi di fronte alla fede della coscienza teoretica. Socrate è il modello della coscienza umana fuori dal cristianesimo, coscienza che aspira all'assoluto. Lessing, invece, dà una soluzione differente: egli dice che il cristianesimo non è affare di scienza, ma di fede. La posizione disonesta è quella di Hegel che dichiara a parole di accettare il cristianesimo per superarlo e negarlo con il suo panlogismo. Inoltre ingiusta è la posizione della chiesa stabilita che accentua l'aspetto oggettivo contro il soggettivo che dà, come la chiesa cattolica, secondo Kierkegaard, la salvezza senza lo sforzo del singolo.

"Se le Briciole intendono determinare il problema della verità, La Postilla si concentra sul problema della realtà. La verità esprime il momento della necessità, è il punto immobile archimedeo dell'esistenza (…) essa consiste quindi nell'idea e nell'idealità secondo il significato platonico. La realtà invece esprime il momento dell'essere e consiste quindi nel movimento, nel salto, nella decisione della libertà (…). Secondo la tradizione classico-tomistica a cui Kierkegaard resta qui fedele, l'una è la sfera del pensiero e l'altra dell'essere nella tensione dell'antitesi ed appartenenza scambievole che costituisce il problema dell'uomo (…). Kierkegaard pone agli antipodi il pensiero e l'essere, l'ordine ideale e reale (…). Per Kierkegaard come per San Tommaso l'idealità si identifica con la fede l'essenza con l'esistenza cioè in Dio. Il suo essere non può andare soggetto allo sviluppo dialettico nelle determinazioni dell'essere di fatto". L'essenza è il fondamento del divenire dell'esistenza: è l'elemento immutabile nel processo del divenire. Se le Briciole portano al di là della posizione socratica, la Postilla vuol superare sotto la spinta di Lessing la Chiesa stabilita di Danimarca e l'immanentismo storicista di Hegel. Kierkegaard si pone innanzi il problema di come si diventi cristiani: nella prima parte del libro dimostra che ogni sapere oggettivo (scienze e matematica) non serve a nulla, mentre nella seconda parla della verità che è soggettività, ribadendo il valore del singolo.

 

 

L'antihegelismo.

Kierkegaard, alla concezione hegeliana della filosofia come sistema oggettivo a cui sia estraneo l'elemento della soggettività, contrappone la concezione della filosofia come ricerca appassionata in cui si esprime l'interesse per il proprio destino personale.

Rispetto alla concezione hegeliana che vede l'uomo come essenza universale superiore all'individuo, egli contrappone la rivalutazione del singolo come superiore al generale.

Alla necessità dialettica che compone tutte le antitesi, egli oppone le alternative possibili dell'esistenza che esigono una scelta.

All'immanentismo che identifica lo spirito dell'uomo, lo spirito divino, egli contrappone l'infinita differenza qualitativa fra l'uomo e Dio.

Rispetto all'ottimismo che considera la storia come teofania, Kierkegaard oppone una concezione pessimistica che considera la vita nel mondo come uno stato di decadenza da cui redimersi.

Ma soprattutto l'idea che oppone Kierkegaard a Hegel è l'antitesi al razionalismo che esalta la ragione come capace di attingere l'assoluto, a cui Kierkegaard oppone la svalutazione di essa in quanto impotente a risolvere il destino dell'uomo e l'esaltazione nella fede del paradosso.

 

 

La filosofia dell'esistenza.

Contro il sistema della sintesi hegeliana che unifica lo spirito singolo e la storia universale Kierkegaard fa una diagnosi sulla malattia della storia ed afferma l'immanenza dello spirito a sé stesso rendendosi incondizionatamente alla fede tramite il salto fideistico.

"All'inizio della filosofia moderna Kierkegaard aveva scoperto che l'esistenza non è un concetto essa non si mostra (…). Kierkegaard sembra partire da tale scoperta kantiana per sottolineare l'indifferenza del pensiero riguardo alla realtà ed affermare che pensare è più facile che esistere", ma pensare l'esistenza vuol dire sopprimerla nella sua essenza. L'esistenza non si può pensare senza movimento. Il pensiero astratto si distoglie dagli uomini concreti per guardare l'uomo in sé; Kierkegaard guarda all'uomo.

 

 

Il singolo.

Il Singolo per Kierkegaard ha una grandissima importanza poiché è creato ad immagine di Dio. Kierkegaard, in base a tale realtà, attacca la filosofia speculativa e il sistema hegeliano. L'esistenza per il filosofo corrisponde alla realtà singolare, cioè al singolo. La filosofia sembra essere interessata soltanto ai concetti: si preoccupa solo di quell'esistente concreto che possiamo essere io e tu, e non dell'irripetibilità e singolarità della persona. Il singolo in sostanza è il punto su cui egli converge la sua filosofia. Contro i concetti rivendica l'esistenza. Il singolo è la categoria attraverso cui devono passare il tempo, la storia e l'umanità. Ed è il singolo l'unica alternativa all'hegelismo poiché per Hegel ciò che conta è l'umanità. Per Kierkegaard il singolo è la contestazione e la confutazione del sistema, della forma di immanentismo e panteismo con cui si tenta di ridurre e di riassorbire l'individuale nell'universale. Il singolo diviene così baluardo della trascendenza. La persona si erge contro il cristianesimo universalmente diffuso e l'organizzazione sociale dell'umanità come folla. Il singolo si pone nel cammino di riconoscere il proprio io a poco a poco: ne segue la gradualità della vita e gli stadi che impongono nell'esistenza una crescita umana.

Per Kierkegaard Cristo è il salvatore di tutti, però raggiunge singolarmente gli uomini e li salva ad uno ad uno invitandoli tutti ad andare da lui per ricevere la salvezza. Qui si manifesta il carattere del Suo amore che non è vago né generico, ma concreto. Cristo non forza nessuno, ma rispetta la libertà: è Singolo e ha agito come tale nella sua vita. Ne segue che il cristianesimo a differenza e in opposizione al giudaismo e al paganesimo che parlavano di razza, pone la persona nel rapporto con Cristo: anche nella disperazione ognuno è solo davanti a Lui. E questa disperazione si vive nella coscienza.

Il cristianesimo per Kierkegaard, seguendo la concezione luterana, è individualismo. Diventare cristiano vuol dire accogliere lo spirito per essere salvati dal genere, diventare spirito è diventare singolo e l'isolamento è la condizione inevitabile perché Cristo è il vero Singolo.

Nella Chiesa Cattolica si riconosce l'irripetibilità e unicità della persona umana che deve avere una fede singola e personale, ma si supera questo individualismo quasi nichilista del pensiero protestante, riconoscendo che Cristo è il Singolo, ma che la sua volontà è che noi, membra del suo corpo, diveniamo e siamo Chiesa cioè comunità di amore, suo Corpo Mistico.

Il singolo perciò, nella teologia kierkegaardiana deve porsi a contatto personalmente con Dio. Ma data la distanza che c'è fra Dio e l'uomo, quest'ultimo trascende sé stesso e vive un rischio infinito affrontando così il coraggio della disperazione. Per il filosofo Dio ha cura del singolo e protegge il povero: accoglie chi è solo. La preferenza che Dio ha per il singolo deriva dalla sua maestà divina perché Dio è la Soggettività Assoluta. Il singolo deve quindi affidarsi a Dio per non rimanere sopraffatto come Mosè che non riusciva a superare la visione di Dio poiché la dicotomia fra Dio e l'uomo fa sì che l'uomo più si avvicini a Dio e più ne senta la distanza. L'uomo non deve chiudersi in sé stesso: il religioso deve porsi ed offrirsi agli altri perché il rapporto del singolo con Dio determina il suo rapporto con la comunità e non viceversa. La missione del singolo è di impedire che la comunità diventi folla. Kierkegaard infatti critica la folla perché è incapace di capire Cristo.

 

 

L'esistenza come compimento di sé.

Non si può spiegare il concetto del pensiero kierkegaardiano dell'esistenza senza distinguere fra i termini danesi tivaerelse e existents. Esistere non si dice né dell'essere (vaeren) né della sola esistenza di fatto (tivaerelse) che è proprio degli esseri mondani e terrestri (jordiske) ma del movimento che conduce verso l'esistenza (existents) a partire dall'esistenza di fatto; l'uomo è l'unico essere a cui è imposto il compito di esistere. Può trovarsi a vivere un'esistenza di fatto, distinguendosi dagli altri essere che esistono senza sapere chi siano, e può solo divenire l'esistente e avere un'esistenza in proprio come compito nell'esigenza di dover essere ciò che è. In secondo luogo esistenza significa la vita e il senso stesso della vita: ma non è solo coscienza di esistere, ma è maturazione dell'io compimento di sé. Kierkegaard parla di esistenza terrestre (det jordiske existen) nella quale Dio ci ha posto in uno stato di incompletezza in quanto è la vita di un essere finito come Cristo è stato (jordiske tivaerelse). Se Cristo è figlio di Dio Egli si fa: alla Sua esistenza individuale corrisponde l'esistenza generale ed individuale dell'uomo in una distinzione che prefigura quella fra tivaerelse e existents.

Cristo è l'esistenza che è per eccellenza individuo. Gli esseri terrestri hanno in comune un'esistenza generale di fatto, mentre gli esseri umani hanno la coscienza di esistere e la possibilità di divenire un'esistente. L'uomo è esistenza generale nel mondo esistenza individuale: in questi due aspetti sta la specificità di una vita come fatto e compito da assumere: l'uomo non può divenire individuo esistente se non vive nel mondo.

 

 

La scienza esistenziale.

Nell'Alternativa Kierkegaard fa una riflessione sullo stato del sapere (logica, ontologia e matematica). Questo saggio metodologico indaga sul concetto di esse e di inter-esse. L'obbiezione di Kierkegaard contro le scienze naturali è il fatto che colui che fa scienze non comprende sé stesso. Se l'esistenza riconduce il pensiero all'esperienza, niente di esistente può essere dimostrata a priori; l'ontologia e la matematica sono proposizioni ipotetiche poiché vi è in esse uno sviluppo a priori di tutti i predicati. L'esistenza è perciò interesse: infatti l'interesse soggettivo predomina l'individuo che è implicato in ciò che pensa: l'individuo ci esiste dentro (inter-esse) cessando di voler pensarsi oggettivamente. A questo interesse si allaccia la scienza esistenziale dopo che sono ridotte all'oggettività l'ontologia e la matematica.

 

 

L'esistenza come paradosso.

Kierkegaard approfondisce la relazione fra esistenza e pensiero accentuando la polemica contro il pensiero logico. La logica compie l'identità di pensiero e di essere, escludendo il movimento e il divenire etico, come la possibilità di scelta. Hegel asserisce che tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale, identificando l'essere e il pensiero. In Post-Scriptum Kierkegaard riflette su ciò che sia l'esistenza e ritiene che quando l'esistenza non può dirsi dell'essere (vaeren), bisogna effettuare un salto (spring) per passare dall'essere all'esistenza. La separazione fra essere e pensiero, avviene in ogni uomo che non è ciò che pensa e non pensa ciò che è. Perciò l'esistenza prevale sul pensiero. E' perché l'uomo esiste che può pensare. Così, al contrario di Cartesio che sosteneva col cogito ergo sum che il pensiero determina l'esistenza, qui Kierkegaard ribalta dicendo sum ergo cogito. L'uomo non solo è cosciente di esistere, ma può sentire in sé la contraddizione di essere esistente e pensante e vivere tale divisione. Se Dio non pensa mai e crea perché non esiste, ma perché è Eterno, l'uomo, invece, pensa e esiste, e l'esistenza separa il pensiero dall'essere. L'esistenza ha come dovere l'appropriazione qualitativa di sé nel divenire e trova in sé l'espressione del doversi sforzare ad esistere. Essere nel divenire è una proposizione esistenziale poiché il divenire è categoria dell'esistenza che è l'espressione etica del dovere esistere dato ad un individuo che ha davanti a sé il suo essere come compito. Nella determinazione del singolo-soggetto, il divenire è la tensione fra l'esistenza di fatto (tivaerelse) e quella individuale (existents).

 

 

 

La soggettività.

Nel Post-Scriptum Kierkegaard asserisce che la soggettività è la verità e con ciò significa che la tensione verso la verità si trova nel soggetto e la verità esiste in quanto passione dell'infinito. Non afferma che l'esistenza come tale sia verità, ma che essa lo sia come volontà e come tensione alla verità: come soggettività. La verità non è separabile dalla volontà di esistere in un movimento di approfondimento della soggettività. La verità è perciò il singolo. La vita cristiana è perciò soggettività. Il cristianesimo non ha in sé qualcosa che l'uomo si sia autoimposte poiché contiene verità che mai sarebbero venute in mente all'uomo. Ma è il singolo il solo soggetto che possa mettersi a contatto con la realtà trascendente tramite la fede che è paradosso e assurdo. La vera fede deve porre l'uomo in rapporto di intimità personale con Dio. Ne segue che per Kierkegaard l'individuo è la categoria decisiva. La soggettività è verità perché è la posizione dell'individuo davanti a Dio, seppur condizionato dal peccato. Essa è scandalo della ragione. Eliminando la disperazione, lanciandosi nella fede, l'uomo come singolo invece che l'angoscia, che la noia, che il nulla si trova davanti a Dio come creatore dell'essere dal nulla. Solo davanti a Dio l'esistenza isolata può annientarsi in senso positivo. Il filosofo ha compreso la fede contro la dissoluzione di essa, da parte di Hegel in un sapere razionale, come slancio nella fede. La fede cristiana non è un puro credere come tale, ma è determinata nella rivelazione della verità eterna che avviene in un'epoca determinata in cui l'eternità di Dio si è manifestata nel tempo, in un uomo singolo: Cristo.