MACHIAVELLI
        

Così Niccolò diviene il "Segretario fiorentino" per antonomasia, pur rimanendo una certa confusione sul suo ruolo effettivo perché di fatto una divisione netta tra prima e seconda cancelleria non esisteva, anche se gli stipendi erano notevolmente diversi: 330 fiorini annuali per la prima e 192 per la seconda. Comincia così la carriera diplomatica del Machiavelli (compirà ben 23 missioni diplomatiche) proprio nel momento in cui la politica italiana era cambiata dal momento in cui Carlo VIII era sceso in Italia: con la discesa del re francese e successivamente di Luigi XII i governi della penisola cessarono di formare un sistema indipendente, divenendo quasi semplici satelliti dei regni di Francia e Spagna, mentre tutti i problemi interni venivano discussi e decisi coll'influsso straniero; i contrasti tra i governi non venivano più trattati nei senati e nelle piazze, ma nelle anticamere di Luigi di Francia e Ferdinando di Spagna. La prosperità degli stati italiani dipendeva più dall'abilità degli ambasciatori che dall'azione politica di coloro cui era affidata l'amministrazione della cosa pubblica.
        L'ambasciatore doveva compiere uffici molto delicati; "era un avvocato alla cura del quale erano affidati i più cari interessi dei clienti, una spia investita di carattere inviolabile. Invece di consultare, con modo riservato ed ambiguo, la dignità di coloro che rappresentava, doveva cacciarsi in tutti gli intrighi della corte in cui risiedeva, riscoprire e lusingare ogni debolezza del principe e dei favoriti che governavano il principe, e degli staffieri che governavano i preferiti. Doveva far complimenti ed essere di giovamento alla bella e corrompere con doni il confessore, lusingare o supplicare, ridere o piangere, assecondare ogni capriccio e sopire ogni sospetto, far tesoro di ogni indizio, osservare tutto e tutto sopportare". (Macaulay, 1868)
        Nel marzo 1499 compie la sua prima missione presso Jacopo d'Appiano, signore di Piombino per sorvegliare l'arruolamento delle truppe mercenarie e nel mese di luglio viene inviato presso Caterina Riario Sforza, contessa di Forlì, per indurla a partecipare alla guerra contro Pisa; verso la fine dell'anno segue le truppe fiorentine e manda un breve rapporto al Consiglio dei Dieci: Discorso fatto al magistrato dei Dieci sopra le cose di Pisa.
        All'inizio del 1500 i francesi avevano mandato dei mercenari guasconi al soldo di Firenze, ma al momento opportuno essi avevano disertato; per questo nel mese di luglio, insieme a Francesco della Casa, viene inviato da Luigi XII per esprimere il risentimento della Repubblica fiorentina dopo l'ammutinamento delle truppe francesi che, al servizio di Firenze, assediavano Pisa. Pur fallendo nello scopo principale (ottenere validi aiuti contro Pisa) intesse una abile trama diplomatica col fine di ridare una certa importanza alla Repubblica fiorentina attraverso un'azione volta a "diminuire e' potenti, vezegiare li sudditi, mantenere li amici e guardarsi da' compagni, cioè da coloro che vogliono avere equale autorità", come scrive in una relazione mandata a Firenze, anticipando concetti che esprimerà nel III capitolo del Principe in cui analizza proprio gli errori della condotta di Luigi XII in Italia.
        Nel febbraio 1502 viene inviato a Pistoia, lacerata da lotte intestine. Un'esperienza su cui scrive due promemoria: Ragguaglio delle cose fatte dalla Repubblica Fiorentina per quietare le parti di Pistoia e il De rebus pistoriensibus, che propongono i principali temi del pensiero politico machiavelliano: impedire il frazionamento municipalistico del territorio dominato da Firenze e ostacolare qualsiasi tentativo unificatore delle regioni centro-settentrionali dell'Italia, nel pieno rispetto del sentimento che mirava esclusivamente alla sicurezza della Repubblica fiorentina che perseguiva quale segretario della seconda cancelleria.
        Nello stesso anno, in giugno, Cesare Borgia, nominato duca di Valentinois da Luigi XII, dopo aver conquistato Faenza il 25 aprile e compiuto così la conquista della Romagna, si impadronisce del Ducato di Urbino con l'azione politica del padre Papa Alessandro VI e l'appoggio delle milizie francesi, attraversando da padrone i territori della Repubblica fiorentina, timorosa della armi di re Luigi; nell'ottobre il vescovo Soderini, fratello di Pier Soderini Gonfaloniere di Firenze dal 1498, si reca ad Urbino per incontrare Cesare Borgia: è questa l'occasione del primo incontro tra Machiavelli (che accompagna il Soderini) e il duca Valentino durante il quale il Nostro ha quelle impressioni che caratterizzeranno il protagonista del Principe, che appare un audace e spietato statista, dotato di eccezionali capacità politiche prima ancora che militari, freddamente determinato a crearsi uno stato e genialmente incamminato sulla strada della creazione di una milizia personale e cittadina, scartando le milizie ausiliarie e mercenarie, infide e spesso traditrici, comunque più legate al soldo che a rischiare la vita per chi le ha ingaggiate. Machiavelli resta molto colpito dal personaggio, tanto che chiede al suo coadiutore di cancelleria, Biagio Buonaccorsi, una copia delle Vite di Plutarco per cercarvi evidentemente un termine di paragone col Valentino che si impone come personaggio quasi mitizzato, una figura che incarna bene il "principe" dotato di quella virtù che permette di prendere le decisioni opportune al momento opportuno, tenendo presente il fine principale che ogni principe deve sempre tenere bene a mente: mantenere il principato.
        Il Valentino era stato nominato dal padre, papa Alessandro VI, duca di Romagna e dal re di Francia, duca di Valentinois; al fine di realizzare un forte Stato nell'Italia centrale, con l'aiuto delle armi francesi di Luigi XII sta facendo una campagna militare contro i piccoli signori marchigiano-romagnoli, coalizzatisi nella Lega della Magione, località presso Perugia, dove fu tenuta la riunione il 9 ottobre 1502, alla quale parteciparono alcuni nobili della campagna romana:

 

     "Congregornosi adunque alla Magione, in quel di Perugia, il cardinale Orsino (il quale dopo la partita del re, temendo di ritornare a Roma, si era stato a Monteritondo), Pagolo Orsino, Vitellozzo, Giampagolo Baglione e Liverotto da Fermo, e per Giovanni Bentivogli Ermes suo figliuolo, e in nome de' sanesi Antonio da Venafro ministro confidentissimo di Pandolfo Petrucci; dove, discorsi i pericoli loro sí evidenti, e l'opportunità che avevano per la ribellione dello stato d'Urbino e perché al Valentino abbandonato da loro restavano pochissime genti, feciono confederazione a difesa comune e a offesa di Valentino e a soccorso del duca d'Urbino, obligandosi a mettere tra tutti in campo settecento uomini d'arme e novemila fanti… Nella quale confederazione, avendo grandissimo rispetto a non irritare l'animo del re di Francia … Ricercorono oltre a questo il favore de' viniziani e de' fiorentini, offerendo a questi la restituzione di Pisa, la quale dicevano essere in arbitrio di Pandolfo Petrucci per la autorità che avea co' pisani; ma i viniziani stetteno sospesi aspettando di vedere prima la inclinazione del re di Francia, e i fiorentini ancora, per la medesima cagione e perché avendo l'una parte e l'altra per inimici temevano della vittoria di ciascuno…". (Guicciardini)

         La coalizione contro il Duca fallisce sia per l'indecisione e l'ingenuità dei vari partecipanti, sia perché viene a mancare l'aiuto sperato di Venezia (quasi timorosa del re francese) e di Firenze per motivi puramente politici. Poiché il Valentino stava già istigando Arezzo e la Val di Chiana a ribellarsi a Firenze, questa si vide costretta a contattarlo. Dopo essersi riconciliato con i condottieri ribelli (che avevano partecipato alla Dieta della Magione), il Valentino invita, dopo averli ampiamente rassicurati, i partecipanti alla Dieta a Senigallia per celebrarvi la ratifica dei nuovi accordi, il 31 dicembre 1302, dove li fa invece catturare e strangolare. Machiavelli, per la sua seconda legazione presso il Borgia, è presente ai fatti e al suo ritorno a Firenze scriverà l'operetta Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini.
        Come abbiamo detto, Machiavelli ravvisa nel Valentino il principe che poteva incarnare la vera capacità politica di comando e dominio delle situazioni che man mano si venivano creando in modo fluido e quasi inafferrabile. Ma un'estrema malignità di fortuna toglierà di mezzo un personaggio che non aveva avuto il tempo di mettere radici nella situazione politica italiana, pur avendo capito che uno dei mezzi per poter trionfare su coloro che ti vogliono togliere il potere è quello di avere truppe personali e non mercenarie.
        Nella primavera del mese 1503 viene mandato a Siena presso Pandolfo Petrucci di giugno e nel mese di giugno viene incaricato da Pier Soderini di organizzare le forze militari per mettere fine alla lotta contro Pisa e per domare la situazione esplosiva della Valdichiana e di Arezzo.
        Il 18 agosto muore improvvisamente Alessandro VI, sembra avvelenato per errore in un ennesimo complotto organizzato insieme al figlio Cesare ai danni del Cardinale Adriano Castellesi di Corneto di cui avrebbero voluto incamerare i cospicui beni da utilizzare per la continuazione e il completamento dell'opera del Valentino nella conquista della Toscana e forse anche della secolarizzazione dello stato della Chiesa. Invitato dal Cardinal Castellesi nella sua villa per errore dal servitore gli viene data quella stessa coppa di vino avvelenata che era stata destinata al padrone di casa. Il suo successore, Pio III, avrà vita breve e morirà il 18 ottobre, dopo due soli mesi di pontificato.
        L'elezione di Giuliano della Rovere, che assume il nome di Giulio II, segna la fine del Valentino; il nuovo papa si rimangia il patto stretto col Borgia (che in cambio dell'appoggio all'elezione di Giuliano della Rovere, sarebbe stato nominato capitano generale dell'esercito papale se l'elezione avesse avuto buon esito), mentre questi era malato e impossibilitato a influire in maniera decisiva nell'elezione del nuovo papa, vendicandosi degli affronti e dell'esilio decennale subiti sotto Alessandro VI. Abbandonato a se stesso, senza più appoggi, Cesare Borgia è costretto a fuggire e verrà arrestato dopo qualche mese da Consalvo di Cordoba gran capitano delle truppe spagnole a Napoli. Prigioniero prima a Napoli, poi in Spagna, riesce a fuggire e a trovare rifugio presso il cognato re di Navarra, ma trova anche la morte nella sua ultima impresa sotto il castello di Viana.
        Ad assistere all'elezione del nuovo pontefice in autunno il governo fiorentino decide di mandare Machiavelli che resta a Roma fino a buona parte di dicembre; Della Rovere viene eletto con una larga maggioranza, e nella relazione che invia a Firenze, Machiavelli giudica con dure parole l'atteggiamento del duca Valentino sottolineandone gli errori sul piano della condotta politica, che gli faranno perdere quel poco di credito e di "respecto" che ancora possedeva.
        A seguito della rotta francese sul Garigliano (28 dicembre 1503) all'inizio del 1504 Machiavelli viene di nuovo inviato in Francia, in aggiunta al regolare ambasciatore Niccolò Valori, in qualità di emissario particolare del Gonfaloniere Pier Soderini, che il 22 settembre 1502 era stato eletto "Gonfaloniere Perpetuo della Repubblica Fiorentina", e che tanto si fidava dei suoi giudizi politici.
        Al 1504 deve farsi risalire la composizione dei Capitoli per una compagnia di piacere, nei quali si fa menzione del David di Michelangelo come già collocato in piazza della Signoria (nel mese di giugno era stato posto a lato di Palazzo Vecchio.
        Machiavelli ha ormai acquistato una posizione di prestigio all'interno delle istituzioni cittadine, anche per l'appoggio del Gonfaloniere, costatato il fallimento delle milizie mercenarie nella guerra contro Pisa, fa alla Signoria, e quindi a Pier Soderini, una proposta rivoluzionaria: costituire una milizia popolare. Il Consiglio Maggiore lo autorizza alla fine del 1505 a cominciare il reclutamento nel vicariato del Mugello e nel Casentino, evitando l'arruolamento cittadino per impedire che uomini armati potessero far da soli e conquistare il potere nella città. I ceti borghesi non avevano intenzione di arruolarsi, per cui le truppe erano prevalentemente costituite da contadini; questo destava molte preoccupazioni: dare le armi in mano al popolo, infatti, significava andare controcorrente e poneva come importanti interrogativi in primo luogo quello della disponibilità a combattere di persone che non vi erano abituate e non avevano motivazioni sufficiente e in secondo luogo quello di una possibile destabilizzazione politica di Firenze.
        Nel dicembre 1505 viene istituita la magistratura dei Nove Ufficiali dell'ordinanza e della milizia fiorentina, della quale Machiavelli viene nominato Segretario: "cominciò el gonfaloniere, sanza fare consulta, colla autorità della signoria a fare scrivere pel contado, come in Romagna, in Casentino, in Mugello e ne' luoghi piú armigeri, quegli che parevano atti a questo esercizio, e messigli sotto capi, cominciò el dí delle feste a fare esercitare e ridursi in ordinanza al modo svizzero" (Guicciardini). Tra gennaio e marzo 1506 Machiavelli viene dunque impegnato dal Soderini al reclutamento in Mugello e nel Casentino. Durante il Carnevale avviene per le vie cittadine la prima sfilata delle nuove truppe; i fanti erano vestiti di "un farsetto bianco, un paio di calze alla divisa bianche e rosse, e una berretta bianca, e le scarpette, e un petto di ferro e le lance" (Guetta).
        La Milizia nel 1509 si comporterà bene durante l'assedio di Pisa, mentre il 10 marzo di quello stesso anno Machiavelli incontra i Pisani a Piombino per trattare una onorevole resa, firmata da Virgilio Adriani e appunto Machiavelli che può entrare alla testa dei suoi battaglioni in Pisa dopo una guerra durata 15 anni. La Milizia, più che un ritorno al Medioevo, come ha affermato qualche critico, deve essere vista come una necessità dello stato moderno che si deve avvalere delle sue forze interne per provvedere alla sua esistenza piuttosto che servirsi delle forze mercenarie.
        Nel 1506 segue come osservatore la spedizione di Giulio II per riconquistare Perugia contro Giampaolo Baglioni e Bologna contro Giovanni Bentivoglio (nascono da questa missione i Ghiribizzi scripti in Perugia al Soderino, in cui troviamo il principio che bisogna guardare il fine e non il mezzo e che la politica non è buona o cattiva ma utile o dannosa); in dicembre è a Roma in legazione presso papa Giulio II che si è già ripreso molti territori facenti parte un tempo dello Stato pontificio e che ora ha intenzione di cacciare i francesi dall'Italia: cosa che comincerà a fare a partire dal 1510. Firenze da un lato vuole mantenere la propria neutralità e dall'altro non può dimenticare i benefici avuti dai francesi; comunque non crede che il papato sia in grado di realizzare il progetto. Nello stesso anno il Nostro pubblica il suo primo scritto: il Decennale primo, una composizione in terzine, scritta in 15 giorni, che abbraccia gli ultimi dieci anni della storia fiorentina (1494-1504). Nella dedica si legge: "Leggete, Alamanno (Alamanno Salviati, ndr), poi che voi lo desiderate, le fatiche d'Italia di dieci anni, e la mia di quindici dì".
        Nel 1508 scrive il Rapporto delle cose della Magna che porta la data del 17 giugno, al rientro dalla legazione, che lo aveva impegnato sin dal 17 dicembre dell'anno precedente, come osservatore in appoggio a Francesco Vettori, presso Massimiliano d'Asburgo che si proponeva di scendere in Italia, confidando nell'appoggio del papa, che nel frattempo era impegnato a creare una coalizione contro Venezia che rifiutava di ridare alla Chiesa alcuni territori dello Stato Pontificio. Machiavelli fu inviato nonostante molte e decise opposizioni, come afferma lo stesso Guicciardini nelle Storie Fiorentine: "E fu eletto per opera del gonfaloniere, che vi voleva uno di chi e' si potessi fidare, el Machiavello, el quale mettendosi in ordine per andare, cominciorono a gridare molti uomini da bene, chi e' si mandassi altri, essendo in Firenze tanti giovani da bene atti a andarvi ed e' quali era bene che si esercitassino. E però mutata la elezione, fu deputato Francesco di Piero Vettori con commessione generale e da intendere e scrivere, non da praticare e conchiudere". Il Rapporto verrà condensato nel Discorso sopra le cose dell'Alemagna e sopra l'imperatore e infine ripreso nel 1512 col titolo di Ritratto delle cose della Magna.
        Intanto Giulio II, asceso al pontificato anche col fermo proposito di recuperare alla Chiesa tutte le sue terre, non si limita a lanciare l'interdetto contro Venezia, il rivale più agguerrito, ma aderisce alla Lega firmata a Cambrai il 10 dicembre 1508, alla quale partecipano, insieme agli stati italiani timorosi dell'espansionismo veneziano, anche i re di Francia Luigi XII e di Spagna Ferdinando il Cattolico insieme all'imperatore Massimiliano d'Austria, senz'altro il più pericoloso non solo per la sua vicinanza ma soprattutto per la sua volontà di avere uno sbocco sul mare Adriatico (Massimiliano pensa di sottrarre a Venezia i porti di Trieste e Fiume). La Lega infligge ai Veneziani la rovinosa disfatta di Agnadello (14 maggio 1509), durante la quale muore anche il comandante delle truppe veneziane Roberto da Sanseverino, sottraendo loro molte terre Venezia è ad un passo dalla perdita della sua indipendenza, ma viene salvata sia dalla eroica fedeltà delle popolazioni contadine e cittadine della terraferma (nella quale era penetrato colle sue forze l'imperatore, mettendo a ferro e fuoco le terre di Verona Vicenza Padova Bassano Feltre) sia dall'abile azione diplomatica messa in atto dai suoi governanti che riescono, mediante accordi separati, a dividere il fronte dei coalizzati. Venezia comunque dopo questa sconfitta, pur riuscendo a mantenere a conservare la propria integrità territoriale, dovrà dire addio ai suoi sogni di diventare una grande potenza di terraferma.
        Machiavelli, subito dopo la descritta entrata in Pisa alla testa della sua Milizia, il 10 novembre 1509 viene inviato al campo dell'Imperatore: prima Mantova e poi Verona sono le tappe di questa legazione, e a Verona consegnerà al tesoriere dell'Imperatore 10.000 fiorini d'oro. Invierà a Firenze in rapporto in cui mette in risalto l'eroismo dei contadini veneti contro i Tedeschi: "Tutto dì occorre che uno di loro preso si lascia ammazzare per non negare il nome veneziano. E pure iersera ne fu uno innanzi a questo vescovo, che disse che era Marchesco (di San Marco), e Marchesco voleva morire, e non voleva vivere altrimenti, in modo che il vescovo lo fece appiccare; né promesse di camparlo né d'altro bene lo poterono trarre di questa opinione; dimodochè, considerato tutto, è impossibile che questi Re tenghino questi paesi con questi paesani vivi".
        Machiavelli torna a Firenze il 2 gennaio 1510 e subito dopo si trova nel mezzo di uno spregiudicato cambiamento di fronte. Giulio II, che aveva ottenuto le terre della Romagna che facevano parte dello stato pontificio, si riappacifica con i Veneziani e promuove una Lega, da lui stesso detta "Santa", alla quale invita Svizzeri, Inglesi e Spagnoli: Venezia si viene così a trovare tra due fuochi, Giulio II da un lato e i Francesi dall'altro, senza la possibilità di poter attuare una politica equidistante e senza il coraggio, dimostrato più volte in quegli anni proprio dai Veneziani, così invidiati dal Machiavelli perché hanno la fortuna di perdere nelle battaglie e di vincere nei negoziati, riacquistando diplomaticamente più di quanto hanno perso militarmente: "Fu un tempo cosa quasi che fatale alla repubblica veneziana perdere nella guerra, e negli accordi vincere, e quelle cose che nella guerra perdevano, la pace dipoi molte volte duplicatamente loro rendeva". Lo stesso avviene con l'Imperatore Massimiliano: "secondo l'ordine della fortuna loro fecero un accordo con i Tedeschi, non come perdenti, ma come vincitori; tanto fu per loro la repubblica onorevole". La fortuna dei veneziani era l'effetto del loro coraggio e della loro tenacia, di quel non temere il peso e i pericoli della guerra; per questo i nemici venivano a patti con Venezia temendo la sua potenza e la forza del suo radicamento nel territorio. Il Machiavelli fiorentino, innamorato della sua "patria" non poteva ammettere l'intrinseca forza di Venezia che derivava anche dalla solidità di un Governo garantito nella sua esistenza e continuazione da una serie di norme tanto rigide quanto difficili da manomettere.
        Così nel giugno 1510 Machiavelli si mette in viaggio per la Francia, incaricato di farsi mediatore tra Francia e papato; si reca a Blois per incontrare Luigi XII e invia a Firenze una serie di lettere che sono un chiaro esempio della sua fredda lucidità di giudizio e della sua considerazione sempre più frequente di inserire i fatti in una concezione politica più generale. In esse il Machiavelli invita la repubblica a prendere una chiara decisione in favore o del Papa o della Francia per evitare di restare vittima comunque del vincitore, chiunque fosse stato. Ma il suo consiglio resterà inascoltato e Soderini persisterà in una politica di equidistanza tra papato e Francia. Tornato a Firenze, nel mese di ottobre a Firenze scrive il Ritratto delle cose di Francia.
        Nel mese di Agosto 1511 si diffonde la notizia che Giulio II è gravemente malato; allora Pier Soderini, quasi raccogliendo il vecchio consiglio di Machiavelli, decide di appoggiare i cardinali filofrancesi, confidando in una loro vittoria; ma il papa guarisce inaspettatamente, e Machiavelli viene subito chiamato per parare l'ira del papa e il 10 settembre è inviato a Milano e quindi in Francia per cercare di impedire o almeno di rimandare l'effettuazione del concilio. Ma i tempi precipitano: Giulio II lancia il 23 settembre l'interdetto contro Pisa e Firenze;

      "Sopravenne in questo mezzo il primo dí di settembre, dí determinato a dare principio al concilio pisano; nel quale dí i procuratori de' cardinali venuti a Pisa celebrorono in nome loro gli atti appartenenti ad aprirlo. Per il che il pontefice, sdegnato maravigliosamente co' fiorentini che avessino consentito che nel dominio loro si cominciasse il conciliabolo (il quale con questo nome sempre chiamava), dichiarò essere sottoposte allo interdetto ecclesiastico le città di Firenze e di Pisa, per vigore della bolla del concilio intimato da lui; nella quale si conteneva che qualunque favorisse il conciliabolo pisano fusse scomunicato e interdetto, e sottoposto a tutte le pene ordinate severamente dalle leggi contro agli scismatici ed eretici".
                                                                                         (Guicciardini, Storia d'Italia, Lib. 10, cap. 5)

         Il concilio, voluto dal re di Francia, con l'intento di far deporre il papa con l'accusa di simonia, comincia a Pisa, tra l'ostilità generale sia dei pisani che della stessa signoria di Firenze che non consentì il passaggio e lo stazionamento non solo delle truppe francesi ma anche dei soldati al seguito dei vari cardinali, all'interno del territorio della repubblica. Ma dopo appena due sedute, anche a seguito di un fortuito tumulto scoppiato a causa di un francese che aveva fatto insolenti apprezzamenti su una meretrice, si decide nella seconda seduta di trasferire il concilio, chiamato sprezzantemente dal papa conciliabolo, a Milano, dove avrà vita non meno difficile: "fatta il dí seguente la [seconda] sessione, nella quale statuirno che il concilio si trasferisse a Milano, si partirno con grandissima celerità, innanzi al quintodecimo dí della venuta loro: con somma letizia de' fiorentini e de' pisani, ma non meno essendone lieti i prelati che seguitavano il concilio;". Affrettano i preparativi per la partenza, lamentandosi "per la mala qualità degli edifici e per molte altre incomodità procedute dalla lunga guerra, non era atto alla vita dilicata e copiosa de' sacerdoti e de' franzesi, e molto piú perché, essendo venuti per comandamento del re contro alla propria volontà, desideravano mutazione di luogo e qualunque accidente per difficultare, allungare o dissolvere il concilio. Ma a Milano i cardinali, seguitando per tutto il dispregio e l'odio de' popoli, arebbono avute le medesime o maggiori difficoltà." (Guicciardini, cit., lib. 10, cap. 7).
        Gli eventi precipitano. L'11 aprile 1512 a Ravenna, in una grandissima battaglia, e senza dubbio delle maggiori che per molti anni avesse veduto Italia, i Francesi sconfiggono le truppe della Lega Santa, ma il comandante delle truppe francesi, Gastone di Fois, vi trova la morte; la morte di Fois e le gravi perdite subite, insieme al timore di un intervento dell'imperatore al fianco del papa, neutralizza gli effetti della vittoria; successivamente sia la tregua con l'imperatore che la paura di un intervento sul territorio francese degli inglesi che con le navi cominciavano a infestare le coste della Normandia e della Bretagna, spinge Luigi XII a richiamare in Francia un forte contingente di truppe, lasciando sguarnito l'esercito di stanza in Italia. Nel Concilio Lateranense, che proprio in quei giorni aveva aperto per contrastare il concilio pisano, il papa ammonisce il re francese a lasciare libero il cardinale dei Medici, tenuto prigioniero a Milano.
        Firenze resta in balia del papa e il 29 agosto le milizie comunali raccolte dal Machiavelli vengono sconfitte dalle truppe spagnole e pontificie che conquistano e saccheggiano Prato due giorni dopo, mentre Machiavelli cerca di svolgere un'opera di pacificazione cittadina inviando un appello al partito dei Medici perché non infierisca sul gonfaloniere sconfitto (Ricordo ai Palleschi); così racconta Guicciardini la fine della Repubblica e il ritorno dei Medici:

      "Paolo Vettori e Antonio Francesco degli Albizi, giovani nobili, sediziosi e cupidi di cose nuove… la mattina del secondo dí dalla perdita di Prato, che fu l'ultimo dí di agosto, entrati con pochi compagni in palazzo, dove, per il gonfaloniere che si era rimesso ad arbitrio del caso e della fortuna, non era provisione né resistenza alcuna, e andati alla camera sua, lo minacciorono di torgli la vita se non si partiva del palazzo, dandogli in tale caso la fede di salvarlo. Alla qual cosa cedendo egli, ed essendo a questo tumulto sollevata la città, scoprendosi già molti contrari a lui e nessuno in suo favore, fatti per ordine loro congregare subito i magistrati che secondo le leggi avevano sopra i gonfalonieri amplissima autorità, dimandorno che lo privassino legittimamente del magistrato, minacciando che altrimenti lo priverebbeno della vita: per il quale timore avendolo contro alla propria volontà privato, lo menorno salvo alle case di Paolo, donde la notte seguente bene accompagnato fu condotto nel territorio de' sanesi; e di quivi, simulando di andare a Roma con salvocondotto ottenuto dal pontefice, preso occultamente il cammino d'Ancona, passò per mare a Raugia… Levato il gonfaloniere del magistrato, la città mandò subito imbasciadori al viceré, col quale per opera del cardinale de' Medici facilmente si compose: perché il cardinale si contentò che degli interessi propri non si esprimesse altro che la restituzione de' suoi… (e)… venne subito in Firenze alle case sue; ove, parte con lui parte separatamente, entrorno molti condottieri e soldati italiani, non avendo i magistrati, per la vicinità degli spagnuoli, ardire di proibire che non vi entrassino. Dipoi il dí seguente, essendo congregato nel palagio publico per le cose occorrenti un consiglio di molti cittadini, al quale era presente Giuliano de' Medici, i soldati, assaltata all'improviso la porta e poi salite le scale, occuporono il palagio.

         I Medici, cacciati nel 1494, dopo 18 anni, rovesciato il governo repubblicano, il 16 settembre rientrano in città. L'8 novembre la signoria medicea solleva dall'incarico, privandolo di ogni beneficio, Machiavelli: "Die 8 novembris 1512. Praefati Magnifici et excelsi Domini et Vexillifer simul adunati, etc., absente magnifice Domino Paulo de Vectoris, uno ex dictis Magnificis Dominis collegii domi aegrotante, vigore cuiuscumque auctoritatis, potestatis, eiusdem per quaecumque statuta ad ordinamente Populi et Comunis Florentiae concessae et attributae et omni meliori modo etc., servatis servandis etc., et obtento partito inter eos per omnes fabas nigras, cassaverunt, privaverunt et totaliter amoverunt Nicolaum domini Bernardi de Machiavellis ab et de officio Cancellarii secundae Cancellariae prefatorum Magnificorum et excelsorum Dominorum Florentiae, et ab et de officio sive exercitio, quod ipse Nicolaus hactenus habuit et exercuit sive habere et exercere consuevit in Cancellaria, sive pro computo Cancellariae Magistratus Decem Libertatis et Pacis Excelsae Reipublicae Florentinae; ipsumque Nicolaum pro casso, privato, et totaliter amoto ab et de hujusmodi Officiis, sive exercitiis, et quolibet eorum habendum esse, et habere de caetero voluerunt, decreverunt, et mandaverunt. Mandantes etc."; il 10 viene condannato a un anno di confino all'interno del dominio e territorio fiorentino con l'obbligo di non oltrepassarne il confine (che trascorrerà presso San Casciano) e al pagamento di una cauzione ingentissima: mille fiorini d'oro, che gli saranno forniti da tre amici rimasti sconosciuti: "Die 10 mensis novembris 1512. Item dicti DD. Et Vexillifer simul adunati etc., juxtis de causis moti, ut dixerunt, et servatis servandis etc. deliberaverunt, et deliberando relegaverunt amoverunt Nicolaum domini Bernardi de Machiavellis, civem Florentinum, olim unum ex cancellariis dictorum Dominorum, in territorio et dominio Florentino per unum annum continuum prox. Fut. Ab hodie; quae confinia servare teneatur et debeat, nec de dicto dominio et territorio Florentino exeat nec exire debeat sub poena eorum indignationis; et quod pro observantia supradictorum, et dictae relegationis debeat dare et det dictis Magnificis et Excelsis DD. Eosdem fidejussores, sive expromissores, quos hodie ob similem causam dederat, ut apparet manu ser Antonii de Bagnone, qui se sub dicta eadem poena flor. 1000 largorum, et eodem modo videlicet flor. 333 ½ largorum pro quolibet, in forma valida se obligent, quod praedictos fines in totum servabit; alias de eorum solvere, ut supra, Communi Florentiae quantitatem praedictam, cui dicta poena applicari debeat, et sic eam tali casu applicuerunt. Mandantes etc.". E infine il 17 a non mettere più piede in Palazzo Vecchio: "Die 17 mensis Novembris 1512. Item dicti Magnifici et Excelsi DD. Et Vexillifer simul radunati etc. deliberaverunt fieri praeceptum et praecipi Nicolao dom. Bernardi de Machiavellis, olim cancellario secundae Cancellariae dictorum Magnificorum et Excelsorum DD., et. Blasio Bonaccursi olim Coadjutori Domini Marcelli, quatenus per unum annum proximum futurum a die notificationis hujus deliberationis, et praecepti non intrent, nec ingredi possint palatium praefatorum Magnificorum, et Excelsorum Dominorum, sub poena eorum indignationis etc. Mandantes etc.".
        Non si conoscono i motivi per cui viene allontanato dai Medici dal suo incarico, tanto più che la sua onestà è comprovata proprio dal non essersi arricchito col suo incarico, come avrebbero fatto molti, e dal non essersi mai schierato decisamente a favore di nessuno schieramento politico legandovi le sue sorti. Il Machiavelli non è un eroe politico e neanche un partigiano. Gli nocque certamente la grande amicizia dimostratagli da Pier Soderini durante i suoi dieci anni di gonfalonierato e forse i suoi consigli allo stesso Soderini ad assumere più energici provvedimenti atti a consolidare lo stato della città e il governo; o forse il suo impiego presso la Seconda Cancelleria, pur non essendo molto ben remunerato, faceva gola a uno dei tanti servi che seguono il carro del padrone vincitore.