MIRAGGI

2000

Sono le due o le tre di un pomeriggio estivo; o forse sono le cinque.
L’uomo coricato sulla branda non se ne cura, in realtà, è solo un pensiero che si è mosso dietro un sipario chiuso. Sono sei o sette ore che non si muove affatto; è sdraiato su un fianco, in posizione fetale, le braccia incrociate stringono il petto per reprimere una specie di freddo interno; ma non è morto. I suoi occhi dimostrano che è vivo, seguono l’unico movimento che possano mai seguire, sono aggrappati all’unico cambiamento cui mai possano aggrapparsi: i quattro rettangoli di luce che si spostano sul pavimento proiettati dall’unico pertugio, dall’unico buco verso il mondo, un artificio di sole plasmato da una piccola grata rugginosa, alta, irraggiungibile, invalicabile. I quattro luminosi rettangoli irregolari strisciano sul granito, seguendone le asperità, affondando nei solchi, si allungano e si assottigliano, ravvivano e sfumano, nelle ore e nei giorni, si piegano agli spigoli di quel cubo di pietra, si arrampicano per i muri, e mostrano nel loro tragitto gli escrementi, il sangue, le unghie spezzate; poi decadono, sbiadiscono, spariscono inghiottiti dalla notte…
…poi rinascono… e poi spariscono… scandendo il tempo che rimane con i medesimi mutamenti.
E all’uomo non resta che pensare a quello che ha perso, a fantasticare quello che gli è stato negato; l’unica luce che conosce è quella che gli mostra sadicamente, in un eterna penitenza, ciò che ha: granito invalicabile, indistruttibile, granito graffiato, granito insanguinato, inamovibile; e, beffardamente, ciò cui non potrà mai assistere: l’unione di quattro rettangoli di luce in un sole.