EUGENIO MONTALE: IL MURO E " CLIZIA "

 

Eugenio Montale nasce a Genova nel 1896. Ultimo dei cinque figli di Giuseppina Ricci e di Domingo Montale, grosso commerciante, cresce in un clima di benessere economico, impara inglese, francese e spagnolo. Appassionato di teatro lirico, studiava canto. Costretto negli anni dell'adolescenza ad abbandonare gli studi regolari per la sua cattiva salute, continua però a leggere molto: Rousseati, Baudelaire, Mallarmé, Valéry, Campana, e i classici Cervantes e Manzoni. Passa le vacanze estive nella villa paterna di Monterosso, nelle Cinque Terre, in mezzo a quella natura, di fronte a quel mare che si configurano come i luoghi della sua prima poesia: " Mi affascinava la solitudine di cene ore, di ceni paesaggi ... " dirà il poeta.

A vent'anni, nel '16, scrive il suo primo capolavoro: Meriggiare pallido e assorto. t, poi chiamato sotto le ami e partecipa alla prima guerra mondiale come ufficiale di fanteria: esperienza significativa ma non così decisiva come per Ungaretti.

Nel primo lustro dell'immediato dopoguerra, tempo liricamente assai fecondo, significative sono le Iettere filosofiche: Gentile, poi Croce, ma forse - preciserá Montale - negli anni in cui composi gli Ossi di seppia (tra il '20 e il '25) agì in me la filosofia dei contingentisti francesi, del Boutroux soprattutto ", ovvero quel pensiero che si oppone al determinisimo positivistico, alla spiegazione di tutta la realtà entro ferree leggi e definisce fondamentale nell'uomo la libertà morale e l'esperienza etico-religiosa.

li 1925 è un anno importante per Montale: come critico " scopre " Italo Svevo, come uomo immerso nelle vicende del suo tempo aderisce al Manifesto degli intellettuali contro il fascismo, promosso da Benedetto Croce, infine come poeta vede uscire a[ pubblico i suoi Ossi di seppia, stampati da quel Piero Gobetti che solo pochi mesi dopo morirà a seguito di violenze fasciste.

Nel libro subito evidente è la volontà di staccarsi dalla precedente tradizione aulica-accadernica, carica di toni retorici, per affermare invece una poesia di timbro familiare e dialogico, rivolta ad un interlocutore-lettore vicinissime. La famosa lirica 1 limoni, in apertura di volume, esordisce programmaticamente così: " Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi / fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi / qualche sparuta anguilla ".

La polemica è soprattutto nei confronti di Carducci ,D'Annunzio e Pascoli di cui Montale stigmatizza le rispettive malattie " in questo brano di articolo scritto proprio in coincidenza della pubblicazione degli Ossi- " Lo stile, il famoso stile totale che non ci hanno dato i poeti dell'ultima illustre triride, inalati di furori giacobini, superomismo, messianesinio ed altre bacature, ci potrà forse venire da disincantati savi e avveduti, coscienti dei limiti e amanti in umiltà dell'aver loro più che del rifar la gente ". La saggia e umile coscienza dei proprio limite umano e poetico apre però ad una attesa, ad una speranza di incontrare " qualcosa " che dia senso al tutto, come dirà il poeta anni dopo: " Scrivendo il mio primo libro ( . ) volevo che la mia parola fosse più aderente di quella degli altri poeti che avevo conosciuto. Più aderente a che9 Mi pareva di vivere sotto una campana di vetro, eppure sentivo di essere vicino a qualcosa di essenziale. Un velo sottile, un filo appena mi separava dal quid definitivo >, Con il '27 inizia il ventennio fiorentino del poeta. Ha finalmente un lavoro stabile (impiegato presso una casa editrice), poi diventa direttore del Gabinetto Scientifico Letterario Viesseux (sarà sollevato dall'incarico nel '38 dal regime per motivi politici). Scrive su " Solaria" . Stringe amicizia con Vittorini e Gadda, poi con altri poeti e critici quali Bo, Contini, Luzi, Sereni.

Conosce Drusilla Tanzi, allora moglie di un critico d'arte diventerà la sua compagna e più tardi sua moglie, cantata in poesia con l'appellativo di " Mosca ".

Ma l'incontro decisivo, fondamentale per comprendere mezzo secolo di sua poesia, è un altro, misteriosissimo: una donna sulla cui identità Montale ha mantenuto il segreto per tutta la vita, una figura angelica, una presenza salvifica, Per ora anche noi manteniamo il segreto in attesa di decifrarne i segni e svelarne il ~< volto >~ quando la incontreremo nelle liriche del Nostro.

Sono questi gli anni del secondo grande libro montaliano: Le occasioni, 1928-1939. Se negli Ossi era centrale la riflessione su di sé, l'autobiografismo, la proiezione di sé in un simbolo naturale fil " mare fermentante", l’" ombra " stampata sul , muro "), il perno di questo secondo libro è l’Altro da sé, una presenza umana o naturale che viene incontro al poeta, entro una " drammatica azione di ricerca della salvezza " Così la lirica si fa più ermetica, più chiusti così la parola si fa più suggestiva, cioè tesa non a dire ma a suggerire, a portare celato un mistero ed evocarlo. Spiegherà Montale: " Non pensai a una lirica pura nel senso ch'essa poi ebbe anche da noi, a un giuoco di suggestioni sonore; ma piuttosto a un frutto che dovesse contenere i suoi motivi senza rivelarti, o meglio senza spiattellare. Ammesso che in arte esista una bilancia tra il di fuori e il di dentro, tra l'occasione e l'opera-oggetto bisognava esprimere l'oggetto e tacere l'occasione- spinta ", Negli anni prebellici e durante la seconda guerra mondiale Montale è a Firenze. Ormai privo dello stipendio del Vieusseux, vive di collaborazioni letterarie e di traduzioni (Shakespeare, Joyce, Cervantes ecc.).

Nella sua poesia si approfondisce il colloquio a distanza con la salvifica

ispiratrice: <~ sullo sfondo di una guerra cosmica e terrestre, senza scopo e senza ragione, mi sono affidato a lei, nube, angelo o procellaria >, E siamo così all'inizio dei terzo libro: La Bufera e altro, 1940-1954. In piena stagione neorealista Montale, estraneo sempre alle mode, procede dritto per la sua strada: " L'argomento della mia poesia (e credo di ogni possibile poesia) è la condizione umana in sé considerata; non questo o quell'avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, volontà di non scambiare l'essenziale col transitorio. ( ... ) Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia. Non nego che il fascismo dapprima, la guerra più tardi, e la guerra civile più tardi ancora mi abbiano reso infelice; tuttavia esistevano in me le ragioni dell'infelicità che andavano molto al di là e al di fuori di questi fenomeni ". Per questa sua tensione verso l'essenziale e l'assoluto, per questa ontologica disarmonia, guardando retrospettivamente la sua opera Montale potrà collocarsi nel solco di " una corrente di poesia non realistica, non romantica e nemmeno strettamente decadente, che molto all'ingrosso si può dire metafisica>,

Nell'ultimo dopoguerra è assunto dal '48 al " Corriere della Sera "; è senatore a vita dal '67 e Nobel per la letteratura nel '75. La saggia e amara ironia degli ultimi libri di poesia (Satura, 1962-1970, Diario del 71 e del 72, Quaderno di quattro anni, Altri versi) è ancora illuminato dalla memoria dell'angelica ispiratrice.

Nei quaranta giomi di ricovero ospedaliero che precedono la sua morte, avvenuta il 12 settembre 1981, il " laico > Montale ha con il cappellano Giuseppe Bressanin quotidiani graditissimi colloqui che si concludono puntualmente con una preghiera, I funerali religiosi, che Montale ha espressamente voluto, si sono tenuti nel Duomo di Milano.

NON CHIEDERCI LA PAROLA apre il libro Ossi di seppia : è questa lirica che Montale definisce "la chiave di volta de' miei 'rondels'". 'Rendel o rondò è. per definizione, componimento a struttura circolare e proprio cosi ci si presenta questo testo, contratto com'è sull'avverbio di negazione " non " che circonda la lirica, aprendone la prima e la terza strofa, e chiudendola, due volte ripetuto ed evidenziato dal corsivo.

Il < non v ha due funzioni:

  1. apre il duplice imperativo negativo (vv. 1-9) che vieta all'anonimo interlocutore (ovvero a me, fruitore della poesia) di pone ai poeti la domanda stessa di un senso per la vita dell'uomo (prima strofa) e del mondo (terza strofa), dunque una corale definizione di poetica.

2) chiude la lirica con una proposizione di s teologia negativa ": < l'essere dell'uomo può essere colto nel suo non essere, la parola parla solo per negare i contenuti della vita e della storia o (Matercorda). Ma è una negatività dialettica, tesa al positivo, valida in quanto strumento di lavoro volto a sgombrare il campo dalle retoriche consolatorie. Non è una negatività assoluta. nichilista: è anzi relativizzata da

quell'" oggi > che mantiene aperta la possibilità di soluzioni positive per il domani. Comunque è una testimonianza della crisi spirituale dell'uomo moderno. quasi sospeso sul vuoto e preso da vertigine per l'assenza di un " centro >, di un fondamento solido su cui edificare la vita, di un senso trascendente. La strofa centrale, che interrompe col suo tono esclamativo la, perentorietà imperativa delle altre due, mette a fuoco la posizione umana antitetica alla propria: se per un verso il poeta prova un moto d'invidia per quella certezza, per quella pace con sé e comunione con gli altri. Stigmatizza la miopia e la superficialità di chi programmaticamente fa i conti con l'intima precarietà della condizione umana, Ancor più duro smà,1 giusto trent'anni dopo, col " chierico rosso, o nero , di Piccolo testamento, autodefinendosi < uno scrittore che ha sempre respinto il clericalismo delle due! opposte forme (la 'nera' e la 'rossa') che affliggono l'Italia ": tanto duro nei confronti del Marxismo e di ogni riduzione ideologica del Cristianesimo, quanto rispettoso della profonda e personale verifica di una certezza, come si vedrà.

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco lo dichiari e risplenda come un croco perduto in mezzo a un polveroso prato.'

Ah l'uomo che se ne va sicuro, agli altri ed a se stesso amico, e l'ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro. Non domandarci la formula che mondi possa aprirci, ma aspettatevi qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo,

MERIGGIARE è una 'summa' della tecnica e dei remi dei primo Montale. Sintatticamente è strutturata su una serie cospicua di cinque infiniti presenti a capoverso (vv. 1, 3, 6, 9, 14) tutti protesi a focalizzare il senso ultimo. " seguitare ", collocato nel cuore del penultimo verso. Abolendo ogni possibilità di deterrumare il soggetto dell'azione essi rendono universale, indefinito ed eternamente presente l'assunto di questa poesia. Ciò è dalla struttura metrica: dopo tre quartine la lirica è chiusa da una strofa di cinque versi; la serrata rete di rime ci introduce alla scoperta dell'unico verso non rimato, il v. 15, così palesemente evidenziato dal poeta: " è tutta la vita e il suo travaglio".

Alla contemplazione della vita come sofferenza voleva dunque condurci il poeta che, ambientata la lirica in ori canicolare mezzogiorno "i meriggiare ") e messa in moto la percezione analitica della realtà ("ascoltare - spiar), ci guida alla percezione sintetica , di una vita come Viaggio sì, ma contro un " muro " : l'iniziale <rovente muro d'orto ", si espande orizzontalmente e verticalmente insormontabile <sulla muraglia, che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia". Non potendola scavalcare la si può solo s seguitare (o " sfiorar stanco " o i, seguir di dipanare il gomitolo inestricabile di una vita in citi <~ s'affolta il tedio " (questo compagno di viaggio dell'uomo moderno: da Alfieri a Leopardi, da Baudelaire a Pirandello, da Moravia a Sartre), in cui " si fa avara amara l'anima ". Ma ecco che improvvisamente in questa lirica accade l'istante privilegiato! l'illuminazione, l'incontro con un segno pregnante che apre alla solare speranza " i gialli dei limoni " (gialli come già il e croce " e il " girasole "):

Quando un giorno da un mal chiuso portone tra gli alberi di una cene ci si mostrano i gialli dei limoni; e il gelo del cuore si sfa, e in petto ci scrosciane le loro canzoni le trombe d'oro della solarità.

Siamo dunque di fronte ad una negatività dialettica, aperta al positivo, all'" avara mia speranza " dell'anima amara del poeta, come si evince anche da Casa sul Mare: ~< Penso che per i più non sia salvezza, ma taluno sovverta ogni disegno, 1 passi il varco, qual volle si ritrovi. Vorrei prima di cedere segnarti codesta via di fuga... Ti dono anche l'avara mia speranza ".

Non da siffatta riflessione intellettuale ma da un privilegiato momento di illuminazione sgorga invece l'apertura positiva di Crisalide, in analogia con la rifiorente, natura primaverile, Incontriamo non pochi segni della montaliana " via in su " verso la " salvezza": il giallo del secondo verso: " L’albero verde cupo si stria di giallo tenero >. L'acqua di vita che vince la scabra aridità " per l'avide radici, per le umide cortecce " e per le piante " che si rinnovano all'alito d'Aprile, umide e liete ", presso un orto non più rovente: " viene a impetuose onde la vita a questo estremo angolo d'orto >; la piena solarità " ed io dall'oscuro mio canto mi protendo a codesti solare avvenimento ", Ma questa speranza, fondata solo sull'anatogia con il risveglio primaverile, è precario e instabile, è " certezza d'un momento ", negata un attimo dopo per sé e per quegli alberi frementi di N ita: " M'apparite allora, come me, nel limbo squallido delle monche esistenze; e anche la vostra rinascita è uno sterile segreto, un prodigio fallito "; eppure è speranza riaffermata nella strofa seguente per l'ingresso in scena di un nuovo attore: il mare (simbolo polivalente in Montale: mostro famelico in Scirocco, " padre " nella sezione Mediterraneo; ora variazione sul tema del < muro >, cui è fonicamente unito da consonanza, ma più facilmente varcabile solo che si abbia la fama volontà di imbarcarsi: il poeta si è però autodefinito, in Falsetto, < della razza di chi rimane a terra ". E intravisto, in un contesto ora canicolare che ricorda esplicitamente Meriggiare, al di là nel mio terreno bruciato dal sole, e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti dei cielo l'ansietà del suo volto giallino.

Tendono alla chiarità' le cose oscure, si esauriscono i corpi in un fluire di tinte: queste in musiche.

Portami tu la pianta che conduce dove sorgono bionde trasparenze e vapora la vita quale essenza. Portami il girasole impazzito di luce.

Alla luce dei temi incontrati nelle tre liriche già analizzate, ripercorriamo il libro in una essenziale silloge.

"Cerca una maglia rotta nella rete che ci stringe, tu balza fuori, fuggi! ". Il muro e le sue variazioni sul tema come la rete, si configurano quindi come la trama di 1 metafore ossessive' di una vita imprigionata nell’irretita ribellione. Il personale' sarà allora il varco, la presenza salvifica, la via di fuga attraverso una maglia rotta, o ancora, come nella successiva I Limoni " uno sbaglio di Natura, il punto morto dei mondo, l'anello che non tiene, / il filo da disbrogliare che finalmente ci metta 1 nel mezzo di una verità ", ovvero qualche fatto che contraddici le deteministiche leggi fisiche, il ferreo concatenarsi di cause ed effetti; eppure quel < filo " d'Arianna che conduca fuori dal labirinto, che permetta di superare evidentemente la terra come prigione < E li fumo che si scopre oltre le sbarre 1 come ci parla a volte di salvezza nel meriggio afoso spunta la barca di salvezza, è giunta: / e là ci attende.

La strofa successiva è il cuore di questa complessa lirica non solo per la ripresa sintetica di tanti temi montaliani, ma soprattutto per l'invenzione di quella emblematica Figura che dà il titolo al testo: la crisalide, fase intermedia della metamorfosi dal bruco alla farfalla ( si pensi a Boito).

• forse tutto è fisso, tutto è scritto,

• non vedremo sorgere per via la libertà, il miracolo, il fatto che non era necessario!

La " muraglia " di Meriggiare, è ancora lì neppure scalfita: una ragione positivista suggerirebbe di rassegnarsi a questa larvale chiusura nell'immanente, a questa fatale fissità, a questa necessità naturale senza speranza per la morte, quindi per la vita; eppure la ragione del Cuore mantiene aperto quel " forse s, quella possibilità di " miracolo ", di un , fatto non necessario n (si ricordi la formazione contingentista di Montale!) che sconvolga il ferreo determinismo: è la speranza che la metafisica entri nella fisica, il mistero irrompa nella storia, l'eterno nel tempo, l'infinito nel finito.

A conferma la lirica seguente, Marezzo, canta: " Forse vedremo l'ora che rasserena venirci incontro sulla spera ardente "; e due anni prima, nel '23, aveva scritto <Forse un mattino andando in un'aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo ". In una lettera dei '24, uno dei primi autocommenti, il poeta spiega: se il mio genere è tutta un'attesa del miracolo... Finito il libro - e finito può quasi dirsi - o sposterò la visuale, mettendo genere. o silentium. Non ho nessuna voglia di autovivisezionarmi di più ".

L’ordine primigenio dell'Origine coincide con quella pienezza di un Destino. di < un esito ", su cui si chiude il libro: é la lirica Riviere che, entro un orizzonte di aurea solarità, chiude perfettamente il cerchio con 1 limoni che avevano aperto il volume, nella speranza che l'anima allora " amara ", poi " animo nostro informa ", possa giungere ad essere ricomposta, ~< non più divisa ~>:

Triste anima passata e la volontà nuova che mi chiami, tempo è forse d'unirvi in un porto sereno di saggezza Ed un giorno sarà ancora l'invito di voci d'oro, di lusinghe audaci, anima mia non più divisa. Pensa: cangiare in inno l'elegia: rifarsi; non mancar più. Potere simili a questi rami ieri scarniti e nudi ed oggi pieni di fremiti e di tinte, sentire noi pur domani tra i profumi e i venti un raffluir di sogni, un urger folle di voci verso un esito; e nel sole che vi investe, riviere, rifioririr:

A) la speranza, il lirico scaltro attiva viene da una presenza umana, da un " tu " e non da un emblema naturale I Limoni, mare, barca, risveglio primaverile);

B) lo spazio non è più un < estemo >, ma al chiuso " interno a (in questo caso il poeta è in una stanza, rivolto verso la donna che sta alla finestra) proiettato verso il simbolico o spazio aperto ". Ne è decisivo diaframma Il balcone, titolo della lirica, cui rimanda circolamento la "finestra" dell'ultimo verso. Commenta Montale: <il titolo vuol essere il riflettore di un momento, un sottointeso e magari una chiave in più offerta al lettore .

C) il tempo, l'ora topica', non è più l'accecante meriggio degli ossi ma " quella di una sera più adatta all'appercezione di un mondo che si prevede allusivo e balenante, e a un colloquio spesso enigmatico e 'in chiave' con la donna amata >~ (M, Fonti).

Si è detto che negli anni delle Occasioni accade a Montale un decisivo, misteriosissimo incontro; e proprio questo libro nel frontespizio presenta, unico fra le sette opere pordiche del Nostro, una dedica cifrata: " a I. B. ", Oggi siamo in grado di far luce su questo gelosissimo segreto: il critico Luciano Rebay in un consegno tenutosi ad un anno dalla morte del poeta nel '82 lo ha infatti svelato. Si tratta di Irma Brindend appartenente ad una delle più illustri famiglie di ebrei mitteleuropei emigrati in America. Louis Brandeis, il primo ebreo che entrò nella Camera Suprema degli Stati Uniti, passò alla storia come strenuo difensore di ogni libertà).

Conoscere il nome di questa donna, una cristiana, sarebbe solo una mera curiosità se la sua presenza cifrata e celata sotto il velo di enigmatiche allusioni non percorresse tutta l'opera del Nostro, Montale non di rado ha fatto ricorso ti sibilline oscurità ed indovinelli (della donna cantata col nome di " Volpe >~ è celata la vera identità in acrostico nella lirica Da un lago svizzero della Buierri leggendo in verticale le lettere iniziali di ogni verso si ottiene il nome della nota poetessa Maria Luisa Spaziam): così accade anche per questa fondamentale ispiratrice diffusamente evocata con la traduzione italiana del suo cognome, ove "Brand" significa (

brace - fiamma" ecc.).

Anche la lirica che andiamo ora a leggere si arricchisce di ulteriori significazioni alla luce di quanto detto: il " tuo fuoco " dei v. 4c non è appena una connotazione dell'ispiratrice, ma coincide con la sua identità, " Brand ". (In verità in origine questa lirica non è riconducibile al cielo di Irma Brarf bensì a quello di Arletta – Annetta). Ma, come dita il poeta, " in me i molti sono uno anche se appaiono / moltiplicati dagli specchi "; come in Leopardi così in Montale le diverse ispiratrici sono tutte riconducibili ad un unico " m ": la bellezza infinita, il senso delle cose),

Composta nel '33 Il balcone è un 'Mottetto', tipo di componimento breve che la Poesia atipica, dalla musica sacra (dunque congeniale, anche nella forma prescelta, alla sacralità del tema). Montale affida a questa lirica l'impegnativo compito di aprire il libro, anticipandone le innovazioni tematiche e stilistiche.

Clizia è la trascendenza di Montale. solo alla luce di questa i rientica comprendiamo Perché il poeta affermi: e senza Clizia la mia vita non avrebbe avuto alcun senso, alcuna direzione "

Per questa lirica del '37, fra le più 'ermetiche' di Montale, leggiamo stralci di un autocommento: " Clizia amava gli animali buffi. Come si sarebbe divertita a vederli pensò Marco. E da quel giorno non lesse il nome di Modena senza associare quella città all'idea di Clizia e dei dite sciacalli. Strana, persistente idea. Che le due bestiole fossero inviate da lei, quasi per emanazione? Che fossero un emblema, una citazione occulta? ". Altri fatti simili e incontri strani accadono ancora: a E sempre sul vivo della piaga scendeva il lenimento di un balsamo ".

Mirco è Montale e Clizia. ne vedremo in seguito il motivo, è ormai lo stabile nome poetico di Irma Brandeis. Il poeta, come Leopardi nell'omonimo Canto, è tutto " angosciato , dal pensiero dorrimante dell" Angelica beltade ", l'ideale trascendente per cui ha " pregio " e i< ragion la vita ", mentre il mondo è ancora quello del Recanatese: l’età superba... stolta, che l'util chiede, e inutile la vita quindi più sempre divenir non vede ".

Così Montale dispera di rivedere l'angelica Clizia, Ma ecco che un fatto (gli sciacalli) ne evoca la presenza e sulla " piaga ", sulla ferita della propria umanità tra esperienza del reale e tensione all'Ideale, scende quel a balsamo " che riapre alla speranza.

Questa donna è dunque, etimologicamente, " il simbolo " di Montale: " il symbolon " era per i greci ciascuna delle due parti di un bastone o di un anello che essi spezzavano quando si separavano; rincontrandosi dopo decenni, ormai mutati dal tempo, il riconoscimento era possibile accostando e facendo combaciare le due parti dell'anello. Ciascuna di esse " solo unita all'altra metà, o almeno riferita ad essa, recuperava ]li sua piena identità, cioè la verità alla quale insieme con l'altra metà apparteneva.

Entro l'orizzonte bellico (il " naufragio " di italiani ed ebrei) dal Canada, dove la donna si trovava, giungono al poeti pochi segni di Sei: emblemi vegetali (" pigne verdi " e " papaveri ", come poi ~< resina e bacche " e infine <~ vischi e pungiitopi "), il " Volto insanguinato sul sudario " (ove la maiuscola non lascia dubbi sul riferimento al Cristo) che dà speranza a Montale in un tempo di braccio di ferro con la molle (" ossario "). Quel " Volto " é un "segno" che li unisce, eppure ~~ li divide ": ha portato la donna lontano, almeno fisicamente, dal poeta. Questo tema del Redentore, asse portante della lirica con il suo potente crescendo, è ripreso nella seconda parte: dopo un'allusione all'episodio evangelico di Zaccheo (" sicomoro ") il " Volto insanguinato sul sudario " di Cristo torna sulla " maschera sul drappo bianco " ed " effigie di porpora " a guidare la missione di Iride, poi spiegata,

Siamo al 'cuore' della lirica. Il poeta si rivolge alla donna con l'appellativo che dà il titolo al resto Arcobaleno della Terra Promessa; luminoso, coloratissimo ponte tra la terra e il cielo; strada, dopo la tempesta, verso la salvezza. Ma perché la donna si è dileguata, ed è ora lontana dal poeta?

Scrive Gioanola: *'La donna assume su di sé dichiaratamente il ruolo di vittima che salva col suo sacrificio, facendosi continuatrice dell'opera salvifica di Cristo". In lei è evidente che il cristiano è portatore di Cristo nel tempo presente, "Sua forma". Continuando l'evento della Redenzione, facendo fiorire luminosamente l’"opera" di Cristo nella lontana America, Iride dà la vita per Lui. Questo è proprio ciò che "deve" accadere conclusione perentoria di un amore desiderato e mai vissuto.