PASCOLI: IL "NIDO" E LA VERTIGINE

 

Massimiliano Badiali

 

Mario Luzi ha cosi spiegato la genesi del simbolismo: "Dovunque il mondo tende a presentarsi nella brutale presunzione dei dati analitici della scienza, lo spirito tenta la sua rivincita e cerca la via dell'unità e della sintesi". Risposta dell'interiorità umana, dunque, a quei tentativi di soffocarla cui puntualmente mira ogni ideologia, dallo scientismo positivista a quello che Pascoli chiama "gelido marxismo". Questi sa che il reale cela, sotto le apparenze epidermiche, una sostanza (sub-stantia) profonda: all'uomo il compito di rivelarla. La parola poetica dovrà essere allora non piattamente descrittiva, bensì evocativa (evocare: chiamare al di qua ciò che sta oltre), suggestiva (sub-gerere: portare nascosto qualcosa di prezioso), tesa pertanto a suggerire più che a dire. Ne verrà un linguaggio che predilige la metafora, la metonimia e l'analogia; che fonde termini appartenenti a sfere sensoriali diverse (sinestesia); che abbonda di onomatopee e sonda tutte le possibilità musicali e incantatrici della parola (fonosimbolismo); che ama la paratassi e le frasi brevi; che ci sorprende coi] coppie aggettivo sostantivo in forte attrito semantico (antitesi, ossimoro). Pascoli "ha insegnato alla poesia contemporanea a guardare alla realtà come a un insieme discontinuo di oggetti inquietanti" (Elio Gioanola). Per questo egli è il padre della poesia italiana del '900.

Verifichiamo questo giudizio attraverso un esempio eloquente:

 

IL GELSOMINO NOTTURNO

E s'aprono i fiori notturni,

nell'ora che penso a' miei cari

Sono apparse in mezzo ai vibrurni

le farfalle crepuscolari.

Da un pezzo si tacquero i gridi;

là sola una casa bisbiglia.

Sotto l'ali dormono i NIDI

come gli occhi sotto le ciglia.

Dai calici aperti si esala

l'odore delle fragole rosse.

Splende un lume là nella sala.

Nasce l'erba sopra le fosse.

Un'ape tardiva sussurra

trovando già prese le CELLE.

La CHIOCCETTA per L'AIA azzurra va col

SUO PIGOLIO di stelle.

Per tutta la notte s'esala l'odore che passa col vento.

Passa il lume su per la scala;

brilla al primo piano: s'è spento...

è l'alba: si chiudono i petali un poco gualciti;

si cova, dentro l'urna molle e segreta,

non so che felicità nuova.

 

La lirica è metricamente divisa in sei quartine di novenari; nei vv. 1-19 frase sintattica e frase metrica coincidono: brevi periodi di uno o più spesso due versi. Ma a partire dal v. 20 cambia il ritmo; il dettato si frange in segmenti sintattici, a volte brevissimi, comunque non più coincidenti con verso; e vi sono i puntini di sospensione: chiaro esempio di poesia-prosa, di "di s integrazione della forma tradizionale" (Alfredo Schiaffini).

Ad una prima lettura Il gelsomino notturno sembrerebbe una lirica di tipo impressionistico, in cui il poeta registri e giustapponga disordinatamente sensazioni notturne fra loro irrelate, diversi flash visivi, olfattivi, acustici e sinestetici. Ma Pascoli, sulla scia del suo Dante, sotto il senso letterale della scrittura cela un significato più profondo, simbolico. A questo secondo livello la tessitura del testo è assolutamente compatta: tout se tient.

La lirica nasce come epitalamio: dono nuziale del poeta all'amico Gabriele Briganti, nel 1901. Pascoli, nella lettera d'accompagnamento gli serve: "La gentile sposina (alla quale non occorre che tu legga subito la poesia: domani se mai!) ci perdoni i pochi minuti in cui i tuoi occhi hanno lasciato i suoi per fissarli su questa carta". E il poetico (profetico) auspicio di una fertile unione giunge presto a buon fine, tanto che nel marzo 1903 Pascoli può annotare: "E a me pensi Gabriele Briganti risentendo l'odor del fiore che olezza nell'ombre e nel silenzio: l'odore dei GELSOMINO NOTTURNO. In quelle ore sbocciò un fiorellino che unisce (secondo l'intenzione sua), al nome d'un dio e d'un angelo, quello d'un povero uomo: voglio dire, gli nacque il suo Dante Gabriele Giovanni". L'amico dà al figlio come terzo nome (dopo quello del dio Dante e quello angelico-paterno) proprio quello del poeta: il "povero uomo" Giovanni Pascoli.

Questi ci offre così la chiave di lettura profonda del testo: evocazione di un rito nuziale. L'io lirico, immerso nella natura, osserva l'evento da lontano (si noti l'avverbio di luogo "là" ai vv. 6 e 11): egli proietta il proprio timore e tremore su una fauna inquietante ("le farfalle crepuscolari", "un'ape" che "sussurra"). L’obiettivo inquadra quella "casa" che, con splendida sinestesia ottico-fonica, "bisbiglia" (v. 6); poi la telecamera zuma su quella "sala" illuminata (v. 11): la cucina a pianterreno; quindi segue il "lume" che, dalla sala in cui splendeva, "passa ( ... ) su per la scala" verso la carriera da letto, "brilla", "s'è spento ... " (vv. 19-20). Eloquenti i puntini di sospensione che chiudono il verso in dissolvenza, e paiono gremiti di turbata allusività a quello che il poeta sente come rito ancestrale, come mistero d'i amore e morte, di morte e vita. Quei puntini di sospensione hanno lo spessore temporale di una intera notte. All'"alba" in quel grembo materno - "urna molle e segreta" - è già sbocciato il fiorellino, germe di una "felicità" - quella della fecondítà coniugale - che al poeta non sarà dato conoscere ("non so"). Trainati su questo ordito, e ad esso funzionali, sono i temi del "fiore" e del "nido".

Il fiore, in quanto immagine metaforica del sesso femminile, è tema che s'intreccia strettamente a quello dell'evento amoroso. Esso percorre tutta la lirica con una s erie di evenienze strettamente concatenate: titolo e primo verso (gelsomino notturno - "fiori notturni"); vv. 1-9 e 10 ("s'aprono" - "aperti"); vv. 9 e 10 - 17 e 18 ("s'esala l'odore" -"s'esala l'odore"); vv. 1 - 21 ("s'aprono" "si chiudono"). Quei delicati fiori che, temendo i raggi del sole, si aprono di notte e la inebriano del loro profumo (sensualissima la sinestesia: "l'odore di fragole rosse"), infine si chiudono "un poco gualciti": per portare frutto è necessario che il seme muoia, che l'intatta bellezza si sacrifichi.

Anche il motivo del nido percorre da un capo all'altro il testo: indirettamente (vv. 5, 8, 14); esplicitamente al v. 7 "sotto l'ali dormono i nidi"; poi, ai vv. 15-16, il fanciullino pascoliano riconduce l'immensità del cielo all'orizzonte ristretto di un'"aia azzurra" in La Chioccetta" - ovvero la costellazione.

 

REDITUS AD UTERUM. Pascoli evade dal disagio presente, regredendo verso lo stato prenatale, quando il liquido amniotico del grembo materno assicurava riposo e protezione.

CASA-NIDO. La casa è il luogo "caldo, chiuso, segreto", impermeabile rispetto all'esterno, rassicurante (si pensi alla casa di Castelvecchio).

SIEPE-NIDO. In uno dei Primi poemetti, intitolato La siepe, questa appare come variazione sul tema dei nido: "fuori, / dici un divieto acuto come spine, fl dentro, un assenso bello come fiori". Essa dà sicurezza: "io per te vivo libero e sovrano, /1 verde muraglia della mia città".

I LARI DEL NIDO. La presenza dei morti familiari è ossessiva e accanita: essi vigilano, protestano, si lamentano, "materializzano al di là del tempo. L’irrevocabilità dell'ambito chiuso e geloso del nido, da cui non si sfugge mai, fino a fare dell'appartenenza al 'nido' un dovere di ricordo continuo" (Bàrberi). Anche Il gelsomino notturno si apre con questo ricordo: "nell'ora che penso a' miei cari"; tema che ritorna in "nasce l'erba sopra le fosse" (v. 12) e in "urna" (v. 23).

NAZIONE-NIDO. Il nazionalismo dell'ultimo Pascoli, che inneggia all'impresa libica, è un allargamento del "nido" dalla sfera privata a quella pubblica.

ORNITOLOGIA. La folta ornitologia con il corredo di onomatopee, ovvero la fitta presenza dell'elemento aereo, esprime una volontà di fuga dalla realtà oggettiva (come luogo di dispersione e dolore) e di evasione verso il sogno e l'immaginazione. La sua è una condizione esistenziale cui fa da pendant uno stile che si stacca decisamente dalla norma linguistica tradizionale.

Gianfranco Contini, dopo aver fatto l'inventario di tutti gli aspetti di questo rivoluzionario linguaggio poetico, ne disvela il movente: "quando si usa un linguaggio normale, vuol dire che dell'universo si ha un'idea sicura e precisa, che si crede in un mondo certo, ontologicamente molto ben determinato... Le eccezioni alla norma significheranno allora che il rapporto fra l'io e il mondo in Pascoli è un rapporto critico". La novità formale è spia di una posizione umana dilacerata. La matrice di tale condizione va anche cercata nell'esperienza privata: ventenne, nel 1876, avendo perso sette dei dodici componenti la sua famiglia, si ritrova ad averne lui la responsabilità. Superata questa crisi, la sua poetica approda provvisoriamente ad un "realismo lirico ' io cui la natura è virgilianamente percepita come madre, come paradigma di una convivenza semplice, amorevole e pietosa. Ma tale "classica" perfezione dei reale non lo può appagare: già nelle Myricae del 1890 subentra la nostalgia di una fede che dia luce al cuore del poeta : lo attestano due celebri poesie dei '96, X agosto e L'assiolo, cantano la drammatica condizione umana e la dicotomia tra tensione alla pienezza di luce, sete di Assoluto e universale destino di morte. La tragedia del male nella storia, l'esperienza del dolore, l'ineluttabilità della morte: questi alcuni dei nuclei tematici dei grandi libri di Pascoli: Primi e Nuovi poemetti, Canti di Castelvecchio e Poemi conviviali.

Palese è la contestazione dell’orizzonte naturalistico e l’opzione per quello che Augusto Vicinelli chiama "realismo mistico": la ragione ci rivela, contro l'idea positivista, una finestra spalancata sull'oltre, sul mistero di Dio. L'esistenza appare divisa, scagliata lontano dal suo centro (etimologicamente "dia-bolica"); ma attende di venire ricompaginata, di tornare "sim-bolica", ricostruita in unità. Il libro lo dice in maniera eloquente.

 

Il libro è una lirica in terzine dantesche, divisa in tre parti. Pascoli dà una parabola della condizione umana nella stessa essenza: la vita appare come inconciliabile e insoluta sete di conoscenza, viaggio ora lento ora nervosamente celere verso il bramato Senso ultimo, ricerca senza fine del Fine adeguato.

Pascoli ricorre spesso al verso prosa, ottenuto attraverso l'enjambement; nel ritmo scisso e spezzato (incisi, puntini di sospensione).

Il poeta sente verso la realtà che lo circonda un senso di piccolezza : il messaggio di Pascoli non è dunque nichilistico: è piuttosto un grido che sgorga dalla enigmaticità ultima delle cose.

La Vertigine. È l’incarnazione esatta della dimensione pascoliana, dinnanzi al mistero del male del mondo di "questo opaco atomo del male".

La poesia di Pascoli è un’infantile predilezione per la semplicità : il poeta deve sapere cogliere il segreto delle cose nella loro semplicità, con la disposizione d’animo di un fanciullino.