PSICANALISI E CULTURA

La nuova concezione del tempo, elaborata dal filosofo francese Bergson propone una distinzione fra tempo esteriore puramente cronologico e tempo interiore. Il tempo interiore dissolve le intelaiature in cui poniamo i dati e al prima e al dopo si sostituisce la durata. La nostra coscienza è vista come presente e passata; il tempo non è più sentito come principio di logoramento e dissoluzione, perché non siamo solo la somma dei singoli momenti della nostra vita, ma il prodotto di ciò che ogni momento ci dà. Emblematico è in proposito il concetto di tempo. Nelle formule della fisica il tempo appare come una quantità vettoriale matematicamente misurabile.

Al tempo oggettivo, che secondo i novecentisti è una vuota astrazione, perché non costituito da istanti quantitativamente uguali, si oppone il tempo della memoria (come diceva Bergson) una "durata" qualitativa, intrecciata di mernoria e di aspettativa, e perciò non misurabile matematicamente. Fra l'Ottocento ed il Novecento assistiamo a nuove acquisizioni scientifico-filosofiche : la psicanalisi, la nuova fisica, la concezione del tempo interiore come durata. La psicoanalisi di Freud crea i presupposti per una narrativa del preconscio e dell’inconscio. « La psicoanalisi - ha scritto Freud- nel volumetto Per la storia del movimento psicoanalitico (1914) - è l ... ] una mia creazione ^ E questa scienza nuova creata da Freud (ed osteggiata all'inizio dai più e oggi da non pochi) era destinata ad esercitare nel giro di pochi decenni un influsso enorme e sempre più massiccio sull'immagine dell'uomo , delle sue attività psichiche e dei suoi prodotti culturali, Non c'è fatto che non sia stato toccato e "sconvolto" dalla dottrina psicoanalitica: il bambino diventa un perverso : il "peccaminoso» sesso della tradizione viene posto in primo piano per evidenziare la vita normale e soprattutto le malattie mentali dell'io , il suo sviluppo viene inquadrato in una nuova teoria; le malattie mentali vengono affrontate con tecniche terapeutiche; fenomeni quali l’arte, la morale, la religione e l’educazione vengono illuminati da innovazioni che oggi dichiarano "sconvolgente". Nato da famiglia ebraica, Sigmund Freud (1856-1939) si laurea in medicina a Vienna nel 1881, sebbene, non avesse "mai sentito una particolare propensione per la condizione e per il mestiere del medico ». Studia per un po' di tempo anatomia cerebrale. Senonché, per guadagnarsi da vivere, dovette dedicarsi allo studio, delle malattie nervose. Nel 1889, allo scopo di perfezionare la sua tecnica ipnotica, Freud si reca a Nancy: qui - racconta Freud - fui testimone degli straordinari esperimenti dei malati dell'ospedale ». Ad un individuo sotto ipnosi, dà il comando di aggredirlo dopo un determinato tempo e di non dire a nessuno quanto gli era stato comandato. Nel '95 Freud pubblica, sulla base anche di altre esperienze, gli Studi sull'isterismo, dove si sostiene che il soggetto isterico, in stato ipnotico, torna all'origine del trauma, illumina quei punti oscuri che durante la sua vita hanno generato la malattia e che sono nascosti nel profondo, così la causa del male. E così che ha inizio la teoria psicoanalitica chee poi Freud svilupperá in scritti come: Totem e tabù (1913); Al di là del principio del piacere, (1920); L'lo , l'Es (1923).

Con la teoria, delle rimozioni patologiche di altri fenomeni la psicoanalisi si vede costretta a prendere sul serio il concetto d'inconscio. In questo modo Freud rovesciava l'ormai venerabile concetto, che identificava cosciente con "psichico". Le esperienze concrete su pazienti psicolabili permisero a Freud analisi su un fascio di fenomeni (lapsus, sbadataggini, immediate di idee, errori di stampa, rottura di oggetti, motti di spirito, amnesie, cv.) mai presi in considerazione prima, dietro ai quali Freud mostra l'azione indefessa di contenuti che la rimozione ha respinto dalla coscienza , occultato nell'inconscio senza però essere riuscita a renderli inattivi. E l'azione di conteroti rimossi nell'inconscio Freud l’aveva mostrata qualche anno prima nella Interpretazione dei Sogni (1899). L'antichità classica vedeva i sogni come profezie, per Freud, prescindendo dal suo contenuto apparente e, il sogno ha un "contenuto manifesto," (quello che si ricorda , si racconta, quando ci si sveglia) e un «contenuto latente,', (quel senso del sogno che l'individuo non sa riconoscere.

Il trattamento delle nevrosi, la psicopatologia della vita quotidiana, l'indagine sui motti di spirito, l'interpretazione dei sogni portano Freud nel mondo dell'inconscio. Come nella storia della terra le stratificazioni precedenti sprofondano ma non scompaiono, il ricordare, lo sbagliare, il dimenticarsi. i sogni, le nevrosi trovano la loro spiegazione causate in pulsioni respinte , in desideri rimossi nell’inconscio, ma non cancellati. Certe pulsioni vengono respinte, perché certi desideri e certi ricordi sono a indicibili ed ignoti alla coscienza, e altri paiono essere, almeno in apparenza, sottratti ad essa e rimossi nell'inconscio? La ragione di ciò - risponde Freud - è da trovare nel fatto che si tratta di pulsioni , di desideri in opposizione con i valori .

Freud riconduce la vita dell'uomo alla libido, cioè ad una energia connessa principalmente al desiderio sessuale. Ma mentre desideri come la fame o la sete non sono rimossi, le esigenze sessuali si nei sogni e nelle nevrosi. « La principale fonte del piacere sessuale infantile è l'eccitazione di certe parti del corpo particolarmente sensibili, oltre che degli organi sessuali; rispettivamente come fasi : la bocca, l'ano, l'uretra, così come l'epidermidide ed altre superfici sensibili ». La sessualità infantile é quindi *'autoerotismo" che si manifesta come "conquista del piacere» che trova in "zone erogene" del corpo l'oggetto stesso del piacere. S. li complesso di Edipo

« Il bimbo concentra suIIa persona della madre i suoi desideri sessuali e concepisce impulsi ostili contro il padre, considerato come un rivale. Questa è anche, "mutatis mutandi,", l'attitudine della bambina ». I sentimenti che si formano durante questi rapporti non sono solo positivi, cioè affabili e pieni di tenerezza, ma anche negativi, cioè ostili. Si forma un "complesso" (vai, a dire un insieme di idee, di ricordi legati a sentimenti molto intensi) che è certamente condannato ad una rapida rimozione. Esso esercita ancora un’attività importante e duratura. La tecnica che , a Freud risultò maggiormente adeguata fu quella dell’associazione libera delle idee: l'analista fa sdraiare il soggetto su di un divano e lo invita a manifestare tutto quello che giunge al suo pensiero, quando egli rinunci a guidare il pensiero intenzionalmente ». Questa tecnica non esercita costrizioni sul malato ed è una tecnica efficace per giungere alla scoperta della resistenza: « la scoperta della resistenza è il primo passo verso il suo superamento ». L'analista lavora, dunque, sulle libere associazioni del paziente. Ma nella pratica analitica un molo primario

lo ha l'interpretazione dei sogni, i quali hanno un legame profondo con desideri repressi quasi, sempre questi desideri sono di natura sessuale.

Da tutto quanto i è finora detto, risulta ormai facile estrarre la teoria dell'apparato psichico proposta da Freud. L'apparato psichico è composto dall'Es (o Id), dall'Ego e dal Super Ego. L'Es è l'insieme degli impulsi inconsci della Libido; è l’agente dell'energia biologico, morale ed egoistico. L'Ego è la facciata" dell'Es; è il rappresentante conscio dell'Es; la punta consapevole di qi quell’iceberg che è appunto l'Es. Il Super Ego si ferma verso il quinto anno di età e differenzia (per grado e non per forma) l'uomo dall'animale; è la sede della coscienza morale e del senso di colpa. Il Super-Ego nasce come interiorizzazione dell'autorità familiare e si sviluppa successivamente come interiorizzazione di altre autorità, come interiorizzazione di ideali, di valori, modi di comportamento proposti dalla società attraverso la sostituzione dell'autorità dei genitori con quella di educatori, insegnanti e modelli ideali ».

A dire il vero, la questione dell'istinto, delle sue forme, e dei principi che lo strutturano, ha costituito una autentica preoccupazione per Freud, il quale alla fine, giunge, a parlar, di istinto di vita o Eros e di un istinto di morte o Thanatos. L'istinto di vita si esprime nell'amore, nella creatività, nella costruttività. E quello di morte nell'odio , nella distruzione. Quest'istinto è potente, l'uomo è aggressivo, « Homo homini lupo; chi ha iò coraggio di contestare quest'affermazione dopo tutte le esperienze della vita e della teoria? », si chiede Freud ne Il disagio della civiltà (1929). C'è nell'uono una "crudele aggressività" che rivela in lui « una bestia selvaggia, alla quale è estraneo il rispetto della propria specie ». La realtà è, ad avviso di Freud, eh, « per via di questa ostilità primaria degli uomini tra loro, la società incivilita è continuamente minacciata di distruzione, [ ... e] per ciascuno di noi vien, il momento di lasciar cadere come illusioni le speranze che ripone in gioventù nei propri simili, , di sperimentate quanto la vita gli è resa aspra e gravosa dalla loro malevolenza ». Per questo, la condanna di Freud non è la condanna della civiltà tout-court, ma la condanna delle repressioni inutili ed eccessive, fonti di angoscia e sofferenza. Per alleviare queste sofferenze che Freud offre, con la sua genealogia della civiltà, una maggiore consapevolezza demistificatrice di ideali e di valori perché questi sono necessari per dominare l'istinto di morte. « Il Super-Ego è l'erede del complesso di Edipo , il rappresentante delle aspirazioni etiche dell'uomo ». Il Super-Ego costrinse Edipo ad accecarsi. Il lavoro di Freud tende proprio a questo: non a negare la civiltà, ma a non permettere al Super-Ego di accecare il nuovo Edipo, cioè di far impazzire l'uomo e rendergli la vita insopportabile, disumana. E da una parte ci sono malattie (,sopportabili) con le quali l’uomo deve imparare a coesistete, dall'altra l'uomo civilizzato ha venduto li possibilità della felicità "per un po' di sicurezza" , l'importante è che la vita civilizzata in costante sviluppo sia sopportabile. «Freud riconosce "grandi coincidenze" delle proprie dottrine psicoanalitiche con la filosofia di Schopenhauer, « il qual, non sol, riconobbe, il primato dell'affettività , la straordinaria importanza della sessualità, ma anche il meccanismo di rimozione. Il pessimismo, inteso come concezione materialistica della vita e dell’uomo, accompagna, nel cammino della storia, gli artisti.

La filosofia di Schopenhauer sintetizza il disagio dell’uomo nell’universo e afferma la fragilità della sua condizione di caducità. Tutto il nostro conoscere é sottoposto per Schopenhauer al principio di ragion sufficiente che esprime il collegamento universale e necessario di tutti gli elementi della nostra esperienza sotto le forme a priori. A parte la forma più generale dell'essere-oggetto-per-un-soggetto, le nostre rappresentazioni sono tutte sempre sottoposte a tre forme a priori: spazio, tempo e causalità.

In ciò Schopenhauer si discosta da Kant, perché delle dodici categorie di questi, egli ritiene come operante solo quella di causalitá, mentre giudica tutte le altre come «finestre cieche", apposto solo per ragioni di simmetria architettonica. Anche nel concepire la funzione dell'intelletto e della ragione Schopenhauer si discosta da Kant.

L'intelletto è la facoltá che, applicando il principio di ragion sufficiente al materiale bruto della sensazione, ci fornisce l'intuizione immediata degli oggetti. Esso è proprio cosi dell'uomo come degli animali. La ragione è, invece, la facoltá che forma i concetti restratti sulla onda delle intuizioni. Essa è propria soltanto dell'uomo. Se i nostri concetti non corrispondono al contenuto concreto delle intuizioni, non si hanno più pensieri, ma solo parole. Schopenhauer condivide l’idealismo trascendentale di Kant : le correzioni apportate da Schopenbauer alla filosofia di Kant non intendono modificare - anzi vogliono confermare - la tesi centrale kantiana: l'idealismo trancendentale. mondo che noi ci rappresentiamo esteso nello spazio e nel tempo non ha esistenza che nel nostro intelletto. Tolto l'intelletto, sarebbe tolto anche il mondo. Per esempio:

Il mondo, dunque, è solo un fenomeno, dietro cui è da porre un essere in sé delle cose, che perisce. Per l'intelletto è intangibile. Con il velo di Maya, espressione, tratta dalla filosofla indiana, Schopenhauer designa il fenomeno o mondo della rappresentazione, inteso come realtà illusoria, paragonabile al sogno, di cui ha la stessa consistenza. Esso, che è una costruzione dell'intelletto, è un'apparenza, la quale ci nasconde la vera realtà, la cosa in sé. All'essenza intima delle cose non è possibile pervenire muovendo dall'esterno dei fenomeni, nemmeno di quel fenomeno che ciascuno è a se stesso, come oggetto tra gli oggetti.

Ma ciascuno di noi non è solo puro soggetto conoscente («Attraverso di lui la Volontà puó pervenire alla chiara ed esauriente cognizione di sé. A questo punto diventa possibile per la Volontà la scelta, se continuare ad affermarsi, perpetuando l'esistenza del mondo, oppure, se negarsi (convertendosi in Noluntas), ponendo fine al mondo stesso, Perché questa decisione avvenga, occorre che l'uomo si persuada che il male domina il mondo, che l'esistenza è inevitabilmente destinata al dolore, e che, precisa, l'affermazione della Volontá è stata un errore, al quale porre riparo. Schopenhauer è il filosofo nel quale è possibile rintracciare le più suggestive anticipazioni di Freud. Soprattutto nell'avere riconosciuto a fondamento della personalità dell'uomo l'elemento irrazionale, quale impulso cieco, mosso solo a procurare soddisfazione ai bisogni istintivi, quell'elemento che, nella terminologia adottata da Freud, prenderà il nome di Es. Insieme a ciò il dominio che la volontà inconscia esercita sulle motivazioni coscienti delle nostre azioni. Per cui un conto sono i motivi immaginari, che foggiamo consapevolmente, e un conto sono i motivi reali che ci spingono inconsapevolmente.

 

SCHOPENHAUER: «Per es. noi tralasciamo una cosa per ragioni puramente morali, come crealiamo; ci accorgiamo però in seguito che solo il timore ci tratteneva, poiché lafacciamo appena il pericolo e allontanato. In alcuni casi ciò va tanto oltre, che un uomo non immagina nemmeno il motivo della sua azione, anzi si ritiene incapace di esser mosso da uno di tal genere: eppure esso é il vero motivo della stia azione» (Da il mondo ecc., II, m., p. 254.

FREUD: «Mi sento incline a fare qualche cosa da cui mi riprometto un piacere, ma la tralascio con la motivaziOne: la mia coscienza non lo permette. oppure: mi son lasciato indurre dall'aspettativa di un grandissimo piacere a fare qualcosa contro cui la voce della coscienza protestava, e dopo l'azione la mia coscienza mi punisce con penosi rimproveri, mi fa sentire pentimento per l'azione stessa compiuta» (Da Intr. allo studio della psicoanalisi, Astrolabio, 1947, p. 387).

 

Entrambi non si fanno illusioni sulla natura dell'uomo, nel quale si nasconde una bestia selvaggia», pronta a scatenarsi appena si presenti l’occasione. Freud non trattò psicomaliticamente se non un bambino. .E’ stata sua figlia Anna Freud ad occuparsi dei bambini al di opra dei tre anni. Anna riconosce che i fattori inconsci , le pulsioni istintive, particolarmente quelle sessuali, svolgono un grosso ruolo nella vita del bambino. Ma afferma che anche i fattori ambientali, come il rapporto del bambino con i genitori, non sono indifferenti. Il libro più noto di Anna Freud è- L'Ego e i meccanismi di difesa (1937), dove si sostiene che l’Ego si difende dagli impulsi repressi nell'inconscio, attraverso cinque vie: la fuga nella fantasia, la loro negazione nelle parole e nei fatti, la restrizione dell'Ego, l'identificazione con l'aggressore, determinate forme di altruismo. Anna ha studiato i bambini sopra i tre anni.

Anche Proust ha ricreato nel mondo del romanzo, dal punto di vista della relatività un incrociarsi di piani psicologici. In La Ricerca del Tempo Perduto, l’infanzia di Swann prima ci viene presentata attraverso le impressioni che suscitava e poi quello che provoca nell’adolescente e nel giovane protagonista narratore. C’è però un frantumarsi della figura del narratore concepito come blocco unitario a livello psicologico.

Si verifica anche nella scienza una crisi dei fondamenti classici. Di essa gli episodi più rilevanti sono la creazione di geometrie non euclidee, la discussione sui fondamenti della matematica e della logica e infine la rivoluzione della fisica inaugurata da Albert Einstein. Per millenni si era ritenuto che la geometria euclidea fosse la perfetta espressione delle proprietà dello spazio naturale. La nascita di geometrie non euclidee (che per es. contraddicono il principio secondo il quale due rette parallele non si incontrano mai, oppure che si basano sull'ipotesi di più di tre dimensioni dello spazio, cioè di uno spazio a incognite dimensioni) apre la via a ricerche e a risultati.

L'irrazionalismo è indubbiamente un tratto costante della filosofia del '900, che può complessivamente definirsi come filosofia della crisi (crisi dei valori, delle istituzioni e infine degli individui nella loro esperienza storica e quotidiana). Una prima manifestazione di tale tendenza irrazionalistica concerne la critica del metodo scientifico. La pretesa dei positivisti di spiegare ogni realtà, compreso l'uomo e la sua anima, in senso deterministico, cioè in base a una rigida successione di cause e di effetti, si rivela di fatto inattuabile anche da un punto di vista rigorosamente scientifico. Non è possibile, per esempio 'ridurre" la vita a cause unicamente fisiche e inorganiche. Ancor meno è possibile ridurre il fenomeno storico-sociale umano a cause puramente biologiche.

Dall'insieme di queste critiche si fa strada l'idea (condivisa anche da molti scienziati) che i concetti, le categorie, le leggi scientifiche, più che rivelare l'essenza ultima e vera delle cose (come credevano ingenuamente i positivisti), siano utili astrazioni concettuali, che aiutano a capire il comportamento generale di alcuni fenomeni generali, ma che non servono a spiegarli.

Da un punto di vista più generale si può dire che la riflessione scientifica contemporanea ha assunto un abito critico assai più marcato rispetto alla sua tradizione settecentesca e ottocentesca, anzitutto attraverso una presa di coscienza del carattere profondamente storico di ogni teoria scientifica. Non esistono nemmeno nella scienza verità assolute. L'impresa scientifica è inevitabilmente condizionata dalla mentalità del tempo, dalle filosofie, dalle ideologie sociali, religiose e politiche.

Questo estrema relativizzazione del pensiero influisce anche sulla religiosità. I novecenteschi sentono una grande lontananza da Dio. Al centro dell'opera di Nietzsche, infatti, sta l'annuncio della "morte di Dio", ovvero della fine di quel sistema di valori, che caratterizza la civiltà europea e in particolare la tradizione cristiani. Proprio questa crisi radicale dell'esistenza è il tema centrale che ispirò l'esistenzialismo e, prima ancora, quella che fu la sua matrice culturale più diretta, vale a dire la fenomenologia di Edmund Husserl, (1859-1938), Come già Nietzsche anche Husserl denuncia la crisi esistenziale dell'Europa. Egli ne ravvisa la causa nell’intellettualismo": proprio le scienze, con i loro enormi progressi, hanno determinato un sapere sempre più specialistico e parcellizzato.Viene meno però il senso filosofico complessivo del sapere e con esso ogni risposta ai perché e ai fini ultimi dell'esistenza. Si determina così una generale crisi di civiltà: affidati a loro stessi gli individui oscillano tra molteplici ideologie infondate; si diffonde allora un senso di stanchezza e di scetticismo, oppure di frenetico quanto vacuo attaccamento al contingente e all'effimero. Contro questa degenerazione della cultura europea Husserl auspica un ritorno alla concretezza dell'esperienza soggettiva. Mettiamo tra parentesi ogni teoria e ogni ideologia- diceva Husserl, e torniamo a considerare la vita interiore della coscienza, cioè l'esperienza diretta delle cose e del mondo che il soggetto incontra primi di ogni spiegazione o teoria; basiamo sull'evidenza di tali esperienze la ricostruzione del nostro sapere.

In arte il Cubismo reagì all'impressionismo a cui imputava di essersi limitato , usare la retina, non il cervello. La posizione cubista, quindi, è ben diversa da quella degli impressionisti, pur avendo in comune la polemica contro il naturalismo impressionista. Per i «fauves» ciò che urge è esprimere, attraverso la violenza dei colore, l'immediatezza transitoria del proprio sentimento di fronte al reale; per il cubismo è renderne il significato, filtrato attraverso il proprio «io» e perciò soggettivo, ma entrato a far parte della coscienza, maturato, compreso e quindi durevole.

La concezione cubista, che vuole rendersi ragione delle cose, e stata messa talvolta in relazione con lo scientismo dell'epoca, E cento buona pare della polemica anti-impressionista contemporanea è basata proprio su questo. Ma sarebbe limitativo ridurre il cubismo a una mera visualizzazione di teorie scientifiche. Picasso anzi, che è sempre stato fondamentalmente un istintivo, vi si oppone decisamente: «matematica, trigonometria, chimica, psicanalisi, musica, che non sono che imparentate con il cubismo per spiegarlo. Tutto ciò per comprendere come si giunge alla nascita del cubismo : è necessario riflettere sul fatto che già in seno all'impressionismo c'era stato chi aveva tentato di superare la fugacità dell'impressione visiva per raggiungere, attraverso la sintesi, la solidità costruttiva della forma e quindi la durata di essa nella coscienza: è la lunga, solitaria ricerca di Cézanne, che arriverà progressivamente ad abolire la resa di spazi e volumi mediante le norme prospettiche con la tradizionale convergenza delle linee nel punto di fuga e con la diminuzione proporzionale delle grandezze, sostituendovi la scomposizione dei volumi e l’accostamento in superficie delle loro facce.

Dal 1909 Picasso di fronte alle forme severe della Spagna, dove soggiornò, nascono i primi paesaggi cubisti. Sono ancora evidenti i volumi e la prospettiva. Non nel senso tradizionale della convergenza illusoria delle linee verso il punto di fuga, ma come visualizzazione della conoscenza mentale della realtà, mediante la quale, anche se l'ottica naturale ce la presenta in modo diverso, siamo ben ceni, per esempio, che la faccia posteriore di un parallelepipedo, pur essendo piú distante dai nostri occhi, è di misure pari a quella anteriore. Picasso rende una realtà solida, costruita, ordinata; una realtà che egli cerca di «capire» attraverso li «forma», perché è questa che distingue il significato di un oggetto da quello di un altro. Perciò il colore, in questa fase della sua attività, ha un valore secondario, limitandosi a pochi toni, per lo piú bruni.

L'apparenza prospettica e la larghezza di piani e volumi che permangono nelle pitture di Hona de Ebro (paesaggi e ritratti) scompaiono subito dopo in quel momento che è stato detto «cubismo analitico».

E’ opportuno far notare che il termine cubismo non deve essere inteso alla lettera e neppure in senso lato come geometrismo solido, bensi come ricostruzione ideale del volume. Picasso in modo particolare, in questa ricostruzione, non segue una regola fissa, ma la propria emozione, Perciò, come è stato detto giustamente, l'affermazione di Apollinaire, secondo il quale Picasso avrebbe studiato «un oggetto come un chirurgo seziona un cadavere, non soltanto non è esatta perché in lui non vi è nulla di scientificamente programmato, ma anche perché, più che sezionare, ricompone in unità. E’ lo stesso preocesso di ricomposizione che Freud fa con la psiche. Anche in musica l’influenza di Freud si avverte tramite l’opera di autori, che espletano e caricano la melica di motivi melici che si caricano di una tensione psichica in atto. Erik Satie esprime ad esempio nelle Ginnopedie , tre pezzi da pianoforte

che avevano la coerografia di ragazzi nudi dell’antica Grecia. La liberazione dal Super-ego spinge Satie ad indicare in musica ciò che non dovesse essere fatto. In Parade Satie comporrà un’opera innovativa, suonata con coltelli e forchette, creando tramite cacofonie, o sforzandosi a sceverare ed espletare l’intimo suo dramma tramite un suono, che restituisce il flusso di coscienza.

Negli scrittori del Novecento la crisi del ruolo dell’intellettuale si acutizza : vive frustrato nella sua ansia di conoscenza, travolto da violenze o si sente come un insetto privo di senso alla ricerca di un rapporto con il reale, che vivono con inettitudine ed angoscia (Tozzi - Svevo).

La complessità del reale e l’arrocamento dell’interiorità tipica del personaggio novecentesco comportano tecniche di rappresentazione che insistono sulle rifrazioni e sugli echi che essi hanno nell’interiorità del soggetto.

Il narratore dei romanzi novecenteschi è per lo più il narratore interno (Pirandello, Proust, Svevo) : un narratore che è anche protagonista, che presenta un universo limitato nella prospettiva dell’io narrante, di cui vengono registrati conflitti e lacerazioni.

Il romanzo novecentesco è, pertanto, cronico-casuale. Importanti mezzi usati per la narrazione sono lil flusso di coscienza, il Flashback e il monologo interiore. Nell'Ulisse di Joyce, costruito sulla falsariga dell'epos omerico, usa tecniche innovative: il flusso di coscienza si ricompone in meccanismi associativi, giochi di parole, ed assonanze.

Anche a livello tematico il romanzo novecentesco si distingue da quello ottocentesche. Il romanzo classico si proponeva di delectare e docere, questo, invece, non insegna più nulla: presenta infatti degli antieroei, degli inetti e degli uomini senza qualità.

Un uomo dissociato, schizoide dentro di sé, dunque anche fisicamente deformato, anche esteriormente deforme. Così ci appare l'uomo in questi tre scrittori: entro un romanzo interrogativo, cioè alla ricerca dei significato della vita, il protagonista è dissociato, dilacerato, deformato, tutto proteso verso una risposta adeguata alle grandi domande che ha dentro .La coscienza di Zeno di Svevo è la storia di un inetto raccontata dal suo psicanalista. Se per Freud la psicanalisi ha un valore terapeutico, per Svevo essa è solo un mezzo conoscitivo. Svevo (1861-1928), nasce a Trieste, culla della cultura italiana dei periodo (accanto a Svevo ci sono Saba, Slataper ... ), affacciata sull'Europa, con influssi slavi, tedeschi (Ettore Shmitz = Italo Svevo, Italia e Germania quasi sposate in questo pseudonimo). Impiegato in banca, da autodidatta studia i classici) legge Shopenhauer, i realisti francesi, pubblica a sue spese nel '92 Una Vita e nel '98 Senilità. I due grandi libri di Svevo passano inosservati; dal '99 lavora con suo suocero in una ditta di vernici sottomarine; comincia a star bene economicamente; dal 1905 inizia la sua amicizia con Joyce, che insegnava inglese a Trieste. Nel '23 esce La coscienza di Zeno e nel '25 lo sconosciuto Svevo diventa un nome famoso, quando Joyce e Montale lo « lanciano » in riviste non solo italiane ma anche straniere. Morirà tre anni dopo in un incidente stradale.

Tra i primi due romanzi di Svevo e il terzo ci sono 25 anni di silenzio: di questi 25 anni Svevo opera uno stacco formale ma entro una continuità sostanziale fra questi due tempi delle sua narrativa. Stacco formale perché passa dal verismo psicologistico alla psicanalisi (verso il 1908 aveva letto L'interpretazione dei sogni di Freud). In mezzo c'è dunque l'incontro con Freud, con la psicanalisi, e La coscienza di Zeno risentirà profondamente di questo incontro. La struttura esterna presenta una prefazione che lo psicanalista fa per ricordare il paziente Zeno Cosini.

L’opera è un diario dello psicanalista : il 3° capitolo racconta il vizio del fumo che Zeno fa per inettitudine, il 4° la morte del padre che il personaggio si augura, il 5° il tradimento della moglie Augusta buonissima con una donna dispettosa ( Ada).

I romanzi hanno una continuità sostanziale, riscontrabile nel tipo d'uomo che è il protagonista: « un uomo come domanda », un uomo che si saggia senza risolversi. Zeno è appunto l'uomo « inetto » a vivere, anche se il caso alla fine lo getta nella fortuna.

Proprio per questo la grande cultura borghese tenta di emarginare ed esorcizzare quest'arte, e per anni questi autori passano sotto silenzio, e sono scoperti molto tardi, attorno agli anni '20 di questo secolo.

Con Zeno, anche il tempo è malato, e Zeno non fa nulla per guarire; riempie solo il diario di menzogne, quasi a descriverci l'inutilità della psicoterapia. Ci rimane l'impressione, il giudizio d'una inguaribilità: l'uomo è ammalato così in profondità che nessuna medicina lo può guarire. Questo è l'intimo sentimento di Zeno: l'inguaribilità dell'uomo non può cessare che con la scomparsa della specie umana (vedi l'ultima pagina del romanzo); solo cosi, paradossalmente, l'uomo si salverà.

Zeno fuma tanto per fare, non ama e tradisce la buonissima moglie Augusta.

Nel Fu Mattia Pascal di Pirandello, Mattia si accorge però che è la vita a definirlo: si ritrova con due arpie in casa, in miseria, con un lavoro che non richiede alcuna capacità, si ritrova dunque entro la mediocrità; sì autodefinisce « inetto » A quel punto comincia a leggere filosofia, trovandosi « solo mangiato dalla noia » e queste sono due parole-chiave del romanzo. Va sulla spiaggia e si accorge della propria immobilità, che fa sgorgare la domanda: « perché ? ».

A quel punto decide di campare alla giornata, adeguarsi alla società: gli nascono due figlie, ma queste due bambine si graffiano nella culla: il male abita nel cuore dell'uomo, se le due bambine si graffiano nella culla; non c'è innocenza neppure in un neonato.

Una delle pagine più belle è quella in cui Mattia ricorda la nascita, la breve vita e la straziante morte delle due gemelle. « Erano mie »: in questo possesso-appartenenza Mattia pare ritrovarsi, comprendere la propria identità, potendo dire « mio » d'un altra persona (le pagg. 86-87 sono intessute degli aggettivi possessivi e dei pronomi personali « Mia, mie, mi, me »). Figlia e madre muoiono però lo stesso giorno, e a quel punto accade la svolta dei romanzo: lui che aveva sempre barato con tutto, soprattutto con l'amore, non aveva però potuto barare con la carne della sua carne, ma anche questa gli era venuta meno. Mattia non può più vivere perché non ha legami né coi passato né coi futuro (né la madre, né la figlia). La sua è una fuga folle nella notte finché giunge a Montecarlo ove gioca e vince « una somma veramente enorme ». Ma subito dopo anche a Montecarlo si parla di noia, di schifo di vivere senza speranza.

La sua storia ha però una svolta. Dopo aver vinto sta tornando a casa coli le sue 82.000 lire e covando pensieri di rivalsa tipo: adesso , faccio vedere io, strega d'una suocera, ciabattona d'una moglie! Ma sulla via del ritorno in treno apprende la notizia giornalistica del proprio «suicidio»: il cadavere di uno sconosciuto è stato evidentemente scambiato per il suo! Si sente dunque libero, d'una libertà come sganciamento dai vincoli ambientali, storici, spazio-temporali. Questa è la grande trovata di Pirandello.

Mattia finora non si conosceva, quindi Pirandello non poteva descriverne un'azione che ce lo presentasse dicendoci chi è e cosa vuole. Ma ora è ricco, anagraficamente libero e deciso a ricominciare la vita come uomo autofabbricato: « Stava a me: potevo e dovevo esser l'artefice del mio nuovo destino » (p. 114). Perfetto esempio dunque di potenziale superuomo. Ma la sua storia non giunge a buon fine: Mattia Pascal cerca la felicità ma si accorge di non poterla raggiungere. Anche Pirandello, vicino ideologicamente all'esistenzialismo, s'interroga sul senso della vita, Vitangelo Moscarda in Uno Nessuno e Centomila, dopo la riflessione della moglie sul suo naso, inizio ad interrogarsi sul senso della vita. L'idea di vedersi vivere diviene insopportabile : "non potea vivendo, rappresentarmi a me stesso negli atti della vita (...) vedermi come gli altri mi vedevano; pormi davanti al mio corpo e vederlo vivere come quello di un altro (...) quando mi ponevo davanti ad uno specchio, avveniva come un arresto in me: ogni spontaneità era finita, ogni gesto appariva a me stesso fittizio e rifatto. Io non potevo vedermi vivere ".

Ciascuno di noi è divenire, perché la vita è casualità. Ciascuno di noi è uno, nessuno e centomila: siamo tanti quanti coloro che ci osservano.

Pirandello, per il quale la storia è una prigione, ha liberato Mattia dalla storia e gli potrebbe chiedere: « adesso mostrami cos'è l'uomo nuovo, di che cosa ha sete quest'uomo contemporaneo cosi triste? »; ma non lo fa, perché anche lui non sa che cosa sia l'uomo nuovo, o meglio lo sa solo negativamente; ha una coscienza del limite strutturale presente nel cuore umano, ma non sa poi indicare la strada verso l'infinito; contesta la strada superomistica dannunziana e non sa però trovarne altre. Ne esce così un nuovo Mattia sgradevole e brutto, ancor più del primo, diverso nell'apparenza ma identico nella sostanza. Così Mattia è sempre più un « forestiero della vita », è sempre in difesa, costringe per due anni la sua vita ad una serie di cautele sempre più inutili, soffoca i suoi sentimenti; è il personaggio negativo, è colui che dice più «no» possibile. Ma è «sospeso in un vuoto strano», la sua ricerca della felicità porta all'infelicità.

La conclusione de « Il fu Mattia Pascal » è il ritorno di Mattia al suo paese: li ritrova la moglie risposata con Mino, l'amico di gioventù, e madre di una bambina; non vuole disturbare il loro amore; semplicemente va ogni tanto a mettere dei fiori sulla propria tomba, e il libro, che si era aperto con la frase « io so una sola cosa: che mi chiamo Mattia Pascal » si chiude con una frase simile: « io sono il fu Mattia Pascal». E’ solo e si sente « sperduto ».

Una drammatica tensione si consuma tra la vita e l'essere che vuole se stesso e vuol darsi una forma, la vita è movimento verso la morte; in ogni forma vitale c'è un senso di finitezza. Pirandello pensa che, perché l'essere viva, bisognerebbe che uccidesse di continuo ogni forma ( Màttia Pascal diviene Meis), ma senza forma l'essere non vive (Adriano Meis è un fu Mania Pascal). Le idee, i codici sono solo maschere e tentativi. di cristalizzazione del flusso vitale interno. Non resata all’uomo che diventare pazzo come Enrico IV o natura come Vitangelo Moscarda.

Freud è il padre del relativismo novecentesco : la psiche è sceverata nella sua interezza; di poi per la teoria di Einstein i romanzi danno più una visione univoca della realtà, ma evidenziano il contrasto fra realtà ed apparenza, l’assurdità della condizione umana. Il relativismo getta l’uomo nelle tenebre e lo spinge ad osservarsi fuori da sé. La depersonalizzazione dell’uomo nasce dalla perdita di ogni sicurezza : tutto è relativo come dice Einstein. Il reale è molteplice e non conoscibile, tutto è da comprendere e scevare all’interno dell’uomo come scopre Freud.