TESINA INTERDISCIPLINARE

PROF. MASSIMILIANO BADIALI

SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

 

 

PRESENTAZIONE

 

L’uomo di ogni tempo è contraddittorio: fra ottocento e novecento si convivono due filosofie opposte: quella dell’esaltazione della macchina e del progresso e quella intimista di vittimismo narcisistico di isolamento storico.

 

 

 

STORIA

- La seconda rivoluzione industriale

 

GEOGRAFIA

- La Rivoluzione agricola: progressi in agricoltura

 

 

SCIENZE DELLE FINANZE

- Marx e il Plusvalore

 

ECONOMIA AZIENDALE

- Le banche

 

ITALIANO

- Decadentismo, Giovanni Pascoli o il fanciullino

DIRITTO

- Il Parlamento Italiano

 

INGLESE

- English parliament

 

 

 

Nel corso della seconda rivoluzione industriale si verificò un fondamentale mutamento da un sistema di rapporti economici internazionali basato sul libero scambio ad uno gravitante su un orientamento di tipo protezionistico. Gli apparati statali s'impegnarono in prima istanza a sostenere la crescita economica attraverso la conversione delle strutture tecnico-amministrative, mediante la creazione di un efficiente impianto burocratico e l’adeguazione del diritto economico e della legislazione sociale alle esigenze di un capitalismo industriale di cui si avvertivano in maniera sconvolgente ed incredibilmente repentina gli effetti sulla società. Un intervento governativo più diretto ed incisivo si verificò in quegli stati che non avevano conosciuto un graduale processo di crescita industriale e di meccanizzazione degli impianti produttivi ( la Russia), cosa di cui erano stati beneficiati invece l’Inghilterra e la Francia nella prima rivoluzione industriale, o che si erano formati come entità nazionali solo in tempi recenti( il Regno d’Italia e la Germania di Bismark). Il sostegno diretto all’economia nazionale si concretizzò con il coinvolgimento di una parte rilevante del prodotto interno nelle attività industriali, con le numerose commesse inoltrate all’industria( in particolar modo quella pesante come testimonia la politica statale tedesca post-unitaria , volte a sostenere la produzione interna) e tramite l’inasprimento delle tariffe doganali, procedimento che mirava a limitare le importazioni e a proteggere così l’economia nazionale. Gran parte delle nazioni industrializzate europee ( anche gli U.S.A) seguirono questa impostazione economico-politica; chi invece come la Gran Bretagna mantenne un’economia di tipo liberistico, nella quale quindi si dava più spazio alla libera iniziativa e si promuoveva in particolare la crescita e la proliferazione della piccola e media industria, che costituiva il settore trainante dell’economia, vide le proprie esportazioni frenate dall’esosità fiscale delle tariffe doganali internazionali, e la propria economia cadere in una fase di crisi a favore di economie emergenti come quella tedesca e statunitense. Le statistiche parlano, in merito a questo caso, di una diminuzione della partecipazione da parte della Gran Bretagna al commercio mondiale dal 25% al 12% nel periodo compreso fra il 1880 e il 1914. Lo sviluppo industriale generalizzato portò ad un aumento dell’offerta, fattore che unito all’inaccessibilità di molti mercati esteri, a causa del protezionismo imperante, portò alla necessità di cercare altri mercati per la vendita dei prodotti, per l’investimento di capitali e per il rifornimento di materie prime. Si determinò quindi una internazionalizzazione dell’economia capitalistica che raggiunse dimensioni macroscopiche, che trovò nell’apparato statale un contributo essenziale in campo diplomatico ma soprattutto in quello militare, per la propria crescita: si noti quindi come alla base dell’imperialismo sottostiano cause di natura essenzialmente economica. Nel campo della politica sociale, in concomitanza con il graduale processo di industrializzazione, l’intervento statale fu teso ad una duplice finalità: da una parte ad agevolare il funzionamento dell’economia di mercato tramite la promozione dell’istruzione, e dall’altra ad arginare gli effetti negativi di un industrializzazione rampante attraverso la creazione di una legislazione sulle fabbriche che tutelasse la sicurezza degli impianti, la salute dei lavoratori e la loro retribuzione. Attraverso massicci finanziamenti statali, l’istruzione divenne così gratuita ed obbligatoria, e ciò determinò un parziale allontanamento dei giovani dal mercato del lavoro, e la formazione di una classe d'esperti, specializzati in campo tecnico e scientifico, che potevano agevolmente inserirsi nel mercato e nelle fabbriche. Al contempo, grazie anche alle pressioni delle organizzazioni sindacali, i maggiori stati europei vararono una serie di riforme che prevedevano: l'istituzione di sistemi di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, sistemi di previdenza per la vecchiaia, sussidi di disoccupazione. Si stabilirono inoltre controlli, spesso poco efficaci sulla sicurezza, e sulle condizioni igienico-sanitarie delle fabbriche, e furono introdotte delle limitazioni agli orari di lavoro e fu assicurato il diritto al riposo settimanale. A cavallo fra i due secoli occorse un aumento generalizzato della produzione in tutta Europa. Questa fase d'espansione del mercato affonda le sue radici in un rapporto di causa-effetto di tipo circolare. Il crescente aumento dei prezzi che conobbe un’evoluzione costante dal 1873 circa, lievitò parallelamente con l’aumento dei salari e ciò determinò un innalzamento del reddito pro-capite nei paesi industrializzati, e quindi un benessere ed una ricchezza diffusa oltre che nelle piccole e medie classi, anche nel proletariato urbano. La crescita dei redditi innescò una reazione economica di dimensioni macroscopiche, crescita che vide un allargamento dei mercati, e la massificazione della domanda, che oltre a crescere quantitativamente, conobbe anche un’espansione in settori produttivi marginali. Fu così che beni di consumo, la cui produzione era riservata all’artigianato (calzature, vestiario, articoli per la casa ecc..) iniziarono ad essere prodotti in serie e venduti attraverso una rete commerciale che nel frattempo si era potenziata e diffusa. Lo sviluppo dell’industria leggera aprì la strada ad un miglioramento del benessere economico, quindi delle condizioni di vita e della salute, e gettò le basi per la nascita di quel fenomeno che meglio si definirà pochi decenni dopo, negli anni ’20 e negli Stati Uniti, e che prenderà il nome di consumismo. L’aumento della domanda, comunque, fu significativo nel determinare, da parte della produzione industriale, l’esigenza di un’accelerazione produttiva, che sarà soddisfatta dai processi di meccanizzazione e di razionalizzazione del lavoro in fabbrica. Fondamentale a questo proposito fu l’opera di Frederick W. Taylor "Principi di organizzazione scientifica del lavoro". Lo studio scientifico e sistematico del lavoro in fabbrica condotto da Taylor, portò alla creazione di un innovativo metodo di produzione basato sulla riduzione del lavoro dell’operaio ad operazioni semplici, misurabili e programmabili. La meccanizzazione del lavoro portò a tangibili progressi nel campo della produzione per quanto riguarda l’efficienza, la produttività e la velocità. La dottrina Taylor fu adottata per la prima volta a Detroit, nel 1913, quando la fabbrica Ford produttrice di automobili installò la prima catena di montaggio: secondo questo nuovo metodo di lavoro, il processo produttivo era frammentato in una serie di operazioni che venivano assegnate ai singoli operai, che si ritrovavano così a dover ripetere la stessa operazione per tutto l’orario di lavoro. modern.jpg (56733 byte)L’esempio di Detroit fu seguito non molto tempo dopo dall’industria automobilistica di Torino, e sarà la base delle esperienze future di Togliattigrad e di Tokyo. Il Taylorismo, se da una parte portò alla riduzione dei tempi e ad un incremento della produzione, e quindi ad un conseguente aumento dei salari, contribuì d'altro canto alla sostituzione dell’operaio di mestiere specializzato con l’operaio di massa dequalificato ed intercambiabile, e alla perdita di autonomia da parte del lavoratore, che si vide divenire un suddito dell’automatismo delle macchine. Un testo economico di fondamentale importanza nella comprensione di questo processo si rivelerà "Il Capitale", dato alle stampe mezzo secolo prima, che già anticipava la denuncia dei costi umani che srebbero seguiti alla meccanizzazione del lavoro. Nel prossimo grafico i dati sono presentati in modo da enfatizzare l'incremento assoluto delle ferrovie nel periodo.

 

 

 

 

Il fattore più importante che differenzia la seconda rivoluzione industriale dalla prima,è sicuramente il nuovo ruolo del progresso scientifico-tecnologico, che operò, grazie ai suoi rapidissimi e dirompenti effetti, una rivoluzionaria trasformazione nella vita e nelle prospettive dell'uomo. Nell'ultimo trentennio del XIX sec., si denota quindi una sempre più larga applicazione delle scoperte scientifiche ai vari rami dell’industria: si viene così a creare una strettissima compenetrazione fra il progresso tecnologico e il mondo della produzione industriale. Interessanti a proposito sono gli studi condotti dal Landes, che evidenziano come il mondo dell’industria investa somme sempre più crescenti nella ricerca scientifica, commissionando ai laboratori tecnologici, la scoperta delle invenzioni di cui abbisogna per la produzione. Gli sviluppi della ricerca scientifica nel campo della chimica, furono determinanti per dare il via ad una produzione industriale estremamente variegata: nel 1875 Alfred Nobel brevettò la dinamite, mentre nel 1888 l’invenzione del pneumatico, da parte di Robert Dunlop, aprì vasti orizzonti all’industria delle gomma. Oltre alle applicazioni dirette nell'industria chimica( la cui ricchissima produzione andava dai coloranti ai fertilizzanti chimici, dal cemento ai medicinali), non di minore importanza si rivelarono gli effetti indotti dalla ricerca su settori industriali complementari, e in modo particolare su quello metallurgico, che conobbe una fase di grossa espansione nella produzione dell’acciaio.

 

 

Grazie alle numerose scoperte nelle tecniche di fabbricazione- il metodo Bessemer, il forno Martin Siemens- fu possibile limitare i costi di produzione di questa lega metallica, e farne affluire quantitativi ingenti e a basso costo su di un mercato sempre più in espansione. Conobbe quindi un periodo di notevole sviluppo l’ingegneria civile, che grazie anche all’incremento della produzione del cemento armato, generò una vera e propria esplosione edilizia, che riempì le metropoli dei paesi industrializzati, di porti, grattacieli ed edifici imponenti( la Torre Eiffel a Parigi e il Tower building a New York). Un impatto ancor più dirompente nella società, fu quello provocato dall’invenzione del motore a scoppio, e dal sempre più diffuso utilizzo dell’elettricità. L’invenzione del motore a combustione interna fu decisiva per l’impulso dato all’estrazione del petrolio, che comunque rimarrà ,per molti anni ancora, secondo al combustibile per eccellenza della prima rivoluzione industriale, e vale a dire il carbone, più accessibile economicamente visti i basti costi e l’abbondante offerta. L’elettricità è stata oggetto di studio per tutto il XIX sec. I primi apparecchi elettrici realizzati da Volta con la omonima pila, e da Faraday con il suo "motore sperimentale", furono presto soppiantati da nuovi congegni, che, applicando le scoperte fatte in materia da scienziati del calibro di Siemens, Edison e Pacinotti, permettevano di trasformare il movimento di un corpo in corrente elettrica( dinamo e generatori), di immagazzinarla( accumulatori), di riconvertirla in movimento( motori elettrici) e di trasportarla e distribuirla a grandi distanze. Decisivo per il decollo dell’industria elettrica fu l’invenzione della lampadina da parte di T.A. Edison: nella illuminazione pubblica, infatti, ed in quella privata, l’uso della corrente elettrica si sostituì presto a quello del petrolio. E sempre legati alle innovazioni nel campo dell’elettricità, furono l’invenzione del telefono da parte di Antonio Meucci, del Grammofono da parte di Edison e del Cinematografo dei fratelli Lumiere. Molti degli oggetti come quelli sopraindicati, che a tutt’oggi si configurano come indispensabili alla nostra vita quotidiana, fecero la loro comparsa nel quindicennio compreso fra il 1867 e il 1881: la macchina da scrivere, la bicicletta, le fibre sintetiche, la plastica, il microfono ecc.. Il decollo del sistema industriale, i progressi verificatisi nel campo della ricerca scientifica e tecnica, l’estensione della cultura, sono fattori che generano un clima di fiducia entusiastica nelle potenzialità della scienza e nelle forze dell’uomo. Tra la rivoluzione agricola e quella industriale non si può stabilire una relazione di causa ed effetto, bensì tra le due vi è una correlazione. Infatti, le città industriali non sarebbero sorte senza l’incremento della produzione agricola; ma allo stesso modo essa per svilupparsi ebbe bisogno di grandi centri di assorbimento. Lo sviluppo demografico nella prima metà del 1800 fu ininterrotto, e dovuto non solo all’aumento del tasso di natalità, ma alla diminuzione del tasso di mortalità e al prolungamento della durata media della vita. Il calo della mortalità fu determinato dai progressi della medicina e dell’igiene e dal miglioramento dei sistemi di allevamento. La spinta iniziale della rivoluzione industriale va ricercata tra le conseguenze della rivoluzione agraria: l'introduzione di nuove piante alimentari di provenienza americana, quali la patata e il mais, le rotazioni agrarie con le foraggere e quindi l'aumento del numero dei bovini e delle possibilità di concimazione naturale permisero un forte incremento delle produzioni agricole e casearie, consentendo di debellare gradualmente le carestie. L'accresciuta produttività agricola e dunque la minor richiesta di manodopera provocarono l'allontanamento di braccia da lavoro dai campi, braccia che si aggiunsero alle masse rurali costrette ad abbandonare le campagne per l'eliminazione delle terre comuni, che venivano trasformate in ampie proprietà private mediante le enclosures ossia le recinzioni (si tratta del passaggio dall'openfield al bocage). Questo flusso di manodopera si riversò nei centri manifatturieri alla ricerca di un lavoro, alimentando la formazione del proletariato urbano. Il fenomeno si accrebbe anche in seguito al forte incremento demografico. Si usarono nuove tecniche agrarie. L'openfield è un sistema di organizzazione dello spazio agrario a campi aperti. Esso caratterizzò vaste regioni dell'Europa centro-occidentale (ad esempio isole Britanniche, Francia settentrionale, valle del Reno in Germania, arrivando fino alla Polonia e alla Russia) e si associò a forme di proprietà collettiva della terra e di insediamento accentrato in villaggi. L'openfield si originò nei luoghi in cui i suoli erano poco fertili ed avevano bisogno di essere concimati con il letame. Intorno ai villaggi si estendevano terre comuni, suddivise in strisce allungate, delimitate da strade e assegnate in lavorazione alle famiglie. I campi erano ottenuti abbattendo le foreste di latifoglie e venivano coltivati col sistema della rotazione triennale (colture cerealicole e maggese) sulla base delle scelte produttive operate dagli anziani del villaggio. Nei campi a riposo si faceva pascolare il bestiame ovino. Non esistevano case sparse e l'agricoltura era di tipo estensivo. Il bocage è un sistema di organizzazione dello spazio agrario a campi chiusi. Esso distinse alcune regioni dell'Europa atlantica (Bretagna e Normandia, isole Britanniche), collegandosi alla proprietà dei terreni e all'insediamento rurale sparso. Come indica l'espressione stessa, il sistema dei campi chiusi presentava proprietà recintate con reti e muretti (enclosures), forma irregolare dei fondi, case al centro dei terreni e colture scelte dai proprietari. Probabilmente, più che da una tradizione individualistica, il bocage deriva dalla possibilità di utilizzare, in climi umidi, suoli più fertili e dunque meno bisognosi di concimazione animale. Su ogni proprietà si coltivano cereali, frutta e foraggi destinati all'allevamento stallino, in modo da rendere la famiglia autosufficiente. Le poche strade erano fiancheggiate da alberi. Le nuove conoscenze nel campo della chimica e della biologia produssero anche nell'agricoltura una rivoluzione di necessità vitale per far fronte alla curva demografica ascendente, seguita ai progressi della medicina. La produzione intensiva di scorie basiche in qualità di fertilizzante artificiale divenne possibile come sottoprodotto dei nuovi processi di produzione dell'acciaio. Nuovi metodi di conservazione del cibo, basati sui principi della sterilizzazione e della pastorizzazione usati nella pratica medica, permisero di immagazzinare grandi quantità di alimenti che garantirono rifornimenti regolari e a buon mercato alla popolazione mondiale. Per effetto delle ricerche di Pasteur la pastorizzazione del latte d'uso comune divenne pratica abituale dal 1890 circa. È innegabile l'enorme importanza di questi progressi in un'epoca in cui sviluppi industriali modificavano la struttura della società e tutto il modo di vivere. L'industria dello scatolame, favorita dai nuovi processi di laminazione della latta, prese ora l'avvio, e la vendita di vegetali in scatola aumentò dalle 400.000 casse nel 1870 a 55 milioni nel 1914. Altri fattori che facilitarono l'approvvigionamento di cibi a buon mercato per le crescenti popolazioni industriali furono il completamento delle ferrovie principali, la costruzione di navi di grande tonnellaggio e il perfezionamento delle tecniche di refrigerazione. Le gallerie del Moncenisio e del Goliardo nel 1871 e nel 1882 ridussero il viaggio dall'Italia e dal Mediterraneo alla Francia e alla Germania dalla durata di giorni alla durata di ore, permettendo l'importazione su larga scala nel Nord industrializzato della frutta e della verdura meridionali e sub­tropicali. Nella seconda metà dell' Ottocento, né i patrimoni personali ne' l'auto-finanziamento sono in grado di sostenere gli investimenti industriali che divennero sempre piu' onerosi. Nascono cosi' nuovi istituti finanziari e nuove forme societarie, come banche e societa' per azioni, che provvedono a raccogliere tutti i capitali disponibili per investirli nello sviluppo industriale. Un esempio tipico di grande istituto finanziario fu il Crèdit mobilier, prima banca concepita unicamente per controllare e regolamentare la produzione e il commercio dei manufatti. In campo giuridrico si ha lo sviluppo delle società per azioni (S.P.A..), sistema in cui è il capitale stesso ad avere diritti e capacità giuridriche proprie. Attraverso l' emissione di azioni, che chiunque può acquistare mettendo a disposizione una certa somma di danaro in cambio di una quota dei profitti annuali. Grazie a questo metodo, le società sono in grado di aumentare il proprio capitale. La Rivoluzione industriale aveva bisogno di una sempre maggiore quantità di capitali. Durante le prime fasi dell’industrializzazione molte imprese furono in grado di finanziarsi senza ricorrere al credito. Questa possibilità di autofinanziarsi cessò via via che aumentava il denaro necessario per creare una nuova impresa o per ampliare gli impianti. Le banche esistevano già nel medioevo per custodire il denaro e per fare prestiti con interesse, Custodendo il denaro si raccoglievano capitali ingenti. Dato che i depositanti non li ritiravano mai contemporaneamente, i banchieri potevano prestare parte dei depositi dietro il pagamento di un interesse. Il risparmio privato non rimaneva inattivo, ma veniva utilizzato tramite la banca per finanziare l’attività economica. Se all’inizio dell’800 le banche prestavano denaro soprattutto ai mercanti e allo Stato, con la seconda rivoluzione industriale le banche cominciarono a finanziare le industrie con prestiti a lungo termine. Nacquero istituti specializzati ad anticipare somme ingenti alle imprese oppure le banche acquistavano azioni delle imprese. Es. : Le "Merchant Banks" in Inghilterra, le "Crédit Mobilier" in Francia, le "Private Banks" negli Stati Uniti. Le Società per Azioni nacquero prima del XIX secolo, ma si diffusero durante la Rivoluzione Industriale; la loro origine è dovuta alla necessità di raccogliere grandi capitali. Anche lo Stato, oltre ad emanare leggi che agevolavano lo sviluppo capitalistico e industriale, in alcuni paesi si fece promotore di investimenti di capitale. La Germania costruì a sue spese buona parte della rete ferroviaria. Il Giappone intervenne direttamente nel finanziamento dell’industria per supplire alla carenza d’iniziativa privata,. Costruì fabbriche tessili, siderurgiche e cantieri navali, che dopo il 1882 furono venduti a basso prezzo a imprese private. Il sistema creditizio italiano, al pari di quello di altri paesi occidentali, è il risultato di una lunga e travagliata evoluzione storica, che è proceduta con lo sviluppo economico e sociale del paese e che può essere distinta in diverse fasi. Inizialmente il prevalere di teorie economiche di tipo liberistico consentiva uno svolgimento senza vincoli dell'attività creditizia, mentre la legislazione dello stato riguardava solo alcuni aspetti come fornire alla collettività servizi essenziali quali strade, scuole ed edifici pubblici. Le banche, che operavano anche come istituti di emissione, non erano disciplinate organicamente e perseguivano in modo libero e incontrollato le loro finalità. Questo sistema liberistico si protrasse fino agli anni dopo il 1870, anni in cui le banche, oltre ad operare come istituti di emissione, cominciarono a svolgere anche una funzione intermediatrice fra coloro che offrivano capitali e coloro che li richiedevano. Lo scopo principale per cui le banche sorgevano ed operavano era quello di apportare un considerevole aiuto ai regnanti del tempo così come accadde nel 1888 con Francesco Crispi quando, per finanziare l'espansione coloniale italiana, accadde lo scandalo della Banca Romana. Nel 1893, allo scopo di dare una maggiore organizzazione ed un primo coordinamento fra i diversi istituti, si avvertì la necessità di creare un'unica Banca con sede a Roma che nascerà dall'unione delle banche italiane sotto forma di S.p.a. con cap. soc. di 300000000 di lire: la Banca d'Italia. Queste sono solo le prime forme di progetto di banca moderna che funzioneranno come base per ciò che avverrà successivamente con la fine della guerra, quando il sistema bancario non sopravviverà alla riconversione da un'industria bellica a un'industria civile. Nel periodo che va dal 1870 al 1925 si ebbe una serie di progetti di legge e di studi di un certo interesse che denotano l'aspirazione di dare un assetto organico al settore del risparmio e del credito, onde risolvere i vari problemi connessi all'importanza che l'attività bancaria andava assumendo nell'economia moderna. Così molti progetti tendevano a stabilire una speciale garanzia a favore dei depositanti nei confronti delle società anonime esercenti il credito, mediante il privilegio legale sugli ultimi tre decimi del capitale sociale, da versarsi solamente in caso di liquidazione o di fallimento delle società anzidette. La Rivoluzione industriale è forse influenzata dal Positivismo, una corrente filosofica e culturale, caratterizzata da un’esaltazione della scienza, che si svilupperà nella seconda metà del secolo, come la filosofia della moderna società industriale, abbagliata dal benessere sociale e dai miti della pace e del progresso. Fondatore della filosofia positivista è August Comte. Ne "Il Capitale", Karl Marx analizza i meccanismi strutturali della società capitalistica le sue tendenze e le sue contraddizioni intrinseche. Nell’economia capitalistica la produzione di merci non è finalizzata all’autoconsumo, bensì all’accumulazione di denaro. Il ciclo economico del

capitalismo è pertanto descritto dalla formula schematica:

 

Dove D+ individua il Plusvalore che deriva dal Pluslavoro offerto dall’operaio, in quanto merce che ha la peculiarità di produrre di produrre un valore maggiore di quello che gli viene corrisposto con il salario. Il profitto conseguito dal capitalista è dato dal rapporto tra il plusvalore e la somma del capitale variabile( quello investito nei salari) e di quello costante( investito nei macchinari e nella ricerca tecnologica e scientifica), ed è schematizzato con il saggio di profitto.

Il fine strutturale del capitalismo è pertanto quello di accrescere il Plusvalore,

attraverso l’allungamento della giornata lavorativa( Plusvalore assoluto), che

però presenta un limite invalicabile che è dato dal fatto che la forza lavoro

cessa di essere produttiva dopo un certo numero di ore di lavoro, e la

riduzione della giornata lavorativa necessaria ad integrare il salario dell’operaio(Plusvalore relativo), che presuppone di conseguenza una riduzione dei tempi di lavoro. Da qui si estrapola la necessità strutturale del capitalismo, che per aumentare la produttività è costretto ad introdurre mezzi e metodi di lavoro innovativi, e a raffinare le conoscenze scientifico-tecnologiche. La meccanizzazione del lavoro è la risposta a questa esigenza poiché permette di aumentare enormemente la produttività facendo restare invariati i tempi e la retribuzione di lavoro, e quindi erogando Plusvalore relativo e Plusvalore assoluto, in quanto la giornata lavorativa delle macchine non conosce limiti, non avendo queste bisogno di riposo. Da questa analisi scientifica del capitalismo, Marx trae la sua denuncia dei costi umani della meccanizzazione del lavoro. Mentre all’epoca della manifattura, l’operaio utilizzava la macchina, la fabbrica moderna riduce il salariato ad essere un’appendice, un servo della macchina. Inoltre la velocità delle macchine e i ritmi serrati di lavoro, portano alla completa distruzione della creatività individuale e generano stress psico-fisico. Per non contare il fatto che, non necessitando le macchine di una manodopera specializzata che ne sorvegli e ne diriga l’operato, l'industria tende ad assumere donne e bambini, classi di lavoratori sottopagate, favorendo un’inalterazione della produttività e un abbassamento dei salari e quindi dei costi. Questo processo se da una parte provoca l’aumento del profitto privato, dall’altra penalizza le forze lavorative sociali, determinando l'abbassamento del reddito del nucleo familiare medio. In questi anni nasce in Europa un movimento denominato Decadentismo. Sommariamente, nasce intorno agli anni' 80 a Parigi nei circoli culturali della "rive gauche". Il gruppo è in polemica coi programmi precedenti. Alla base di questo atteggiamento ribellista da bohème vi è la figura di Baudelaire. Quest'ultimo, pur non ignorando i modelli romantici e pur assimilando la poesia parnassiana del Gautier (dedica dei Fleurs du Mal) sviscera ed approfondisce il male moderno la sua nausea, la sua noia e il suo disgusto. Si fa cantore di una complessa realtà in cui lo spleen e l’idéal convivono; il suo decadentismo o simbolismo, esalta i valori raffinati di un mondo interiore che si oppone alla vera decadenza, quella del mondo mediocre e vile. Canta così l'ideale, cioè l’aspirazione tutt’umana all’infinito e lo Spleen effetto del peccato e del male. Baudelaire sente la crisi del suo ruolo di intellettuale(Perte d'Auréole). In Italia il simbolismo ha il suo massimo esponente in Giovanni Pascoli. Se per Baudelaire il simbolo è ricerca e procedimento intellettuale, in Pascoli l’uso dei simboli è totalmente inconscio. Su Pascoli è pesata in passato una critica e un’ottica che lo considerava un poeta campagnolo, ma in verità dietro la poetica pascoliana si intravede una simbologia profonda e intrinsicamente decadente. La parola poetica dovrà essere allora non piattamente descrittiva, bensì evocativa (evocare: chiamare al di qua ciò che sta oltre), suggestiva (sub-gerere: portare nascosto qualcosa di prezioso), tesa pertanto a suggerire più che a dire. Ne verrà un linguaggio che predilige la metafora, la metonimia e l'analogia; che fonde termini appartenenti a sfere sensoriali diverse (sinestesia); che abbonda di onomatopee e sonda tutte le possibilità musicali e incantatrici della parola (fonosimbolismo); che ama la paratassi e le frasi brevi; che ci sorprende con coppie aggettivo sostantivo in forte attrito semantico (antitesi, ossimoro). Pascoli "ha insegnato alla poesia contemporanea a guardare alla realtà come a un insieme discontinuo di oggetti inquietanti" (Elio Gioanola). Per questo egli è il padre della poesia italiana del '900.

Verifichiamo questo giudizio attraverso un esempio eloquente:

 

 

IL GELSOMINO NOTTURNO

E s'aprono i fiori notturni,

nell'ora che penso a' miei cari

Sono apparse in mezzo ai viburni

le farfalle crepuscolari.

Da un pezzo si tacquero i gridi;

là sola una casa bisbiglia.

Sotto l'ali dormono i nidi

come gli occhi sotto le ciglia.

Dai calici aperti si esala

l'odore delle fragole rosse.

Splende un lume là nella sala.

Nasce l'erba sopra le fosse.

Un'ape tardiva sussurra

trovando già prese le celle.

La chioccetta per l’aia azzurra va col

Suo pigolio di stelle.

Per tutta la notte s'esala l'odore che passa col vento.

Passa il lume su per la scala;

brilla al primo piano: s'è spento...

è l'alba: si chiudono i petali un poco gualciti;

si cova, dentro l'urna molle e segreta,

non so che felicità nuova.

 

La lirica è metricamente divisa in sei quartine di novenari; nei vv. 1-19 frase sintattica e frase metrica coincidono: brevi periodi di uno o più spesso due versi. Ma a partire dal v. 20 cambia il ritmo; il dettato si frange in segmenti sintattici, a volte brevissimi, comunque non più coincidenti con verso; e vi sono i puntini di sospensione: chiaro esempio di poesia-prosa, di "disintegrazione della forma tradizionale" (Alfredo Schiaffini).

Ad una prima lettura Il gelsomino notturno sembrerebbe una lirica di tipo impressionistico, in cui il poeta registri e giustapponga disordinatamente sensazioni notturne fra loro irrelate, diversi flash visivi, olfattivi, acustici e sinestetici. Ma Pascoli sotto il senso letterale della scrittura cela un significato più profondo, simbolico. Questi ci offre così la chiave di lettura profonda del testo: evocazione di un rito nuziale. Trainati su questo ordito, e ad esso funzionali, sono i temi del «fiore» e del «nido». Il fiore, in quanto immagine metaforica del sesso femminile, è tema che s'intreccia strettamente a quello dell'evento amoroso. Esso percorre tutta la lirica con una s erie di evenienze strettamente concatenate: titolo e primo verso (gelsomino notturno - «fiori notturni»); vv. 1-9 e 10 («s'aprono» - «aperti»); vv. 9 e 10 - 17 e 18 («s'esala l'odore» -«s'esala l'odore»); vv. 1 - 21 («s'aprono» «si chiudono»). Quei delicati fiori che, temendo i raggi del sole, si aprono di notte e la inebriano del loro profumo (sensualissima la sinestesia: «l'odore di fragole rosse»), infine si chiudono «un poco gualciti»: per portare frutto è necessario che il seme muoia, che l'intatta bellezza si sacrifichi. Anche il motivo del nido percorre da un capo all'altro il testo: indirettamente (vv. 5, 8, 14); esplicitamente al v. 7 «sotto l'ali dormono i nidi»; poi, ai vv. 15-16, il fanciullino pascoliano riconduce l'immensità del cielo all'orizzonte ristretto di un'«aia azzurra» in La Chioccetta» - ovvero la costellazione.

Pascoli evade dal disagio presente, regredendo verso lo stato prenatale, quando il liquido amniotico del grembo materno assicurava riposo e protezione. Nelle sue poesie c’è un ritorno ossessivo di simboli, che alludono all’inconscio del poeta.

CASA-NIDO. La casa è il luogo «caldo, chiuso, segreto», impermeabile rispetto all'esterno, rassicurante (si pensi alla casa di Castelvecchio).

SIEPE-NIDO. In uno dei Primi poemetti, intitolato La siepe, questa appare come variazione sul tema dei nido: «fuori, / dici un divieto acuto come spine, fl dentro, un assenso bello come fiori». Essa dà sicurezza: «io per te vivo libero e sovrano, /il verde muraglia della mia città».

I LARI DEL NIDO. La presenza dei morti familiari è ossessiva e accanita: essi vigilano, protestano, si lamentano, "materializzano al di là del tempo. L’irrevocabilità dell'ambito chiuso e geloso del nido, da cui non si sfugge mai, fino a fare dell'appartenenza al 'nido' un dovere di ricordo continuo" (Bàrberi). Anche Il gelsomino notturno si apre con questo ricordo: «nell'ora che penso a' miei cari»; tema che ritorna in «nasce l'erba sopra le fosse» (v. 12) e in «urna» (v. 23).

NAZIONE-NIDO. Il nazionalismo dell'ultimo Pascoli, che inneggia all'impresa libica, è un allargamento del «nido» dalla sfera privata a quella pubblica.

ORNITOLOGIA. La folta ornitologia con il corredo di onomatopee, ovvero la fitta presenza dell'elemento aereo, esprime una volontà di fuga dalla realtà oggettiva (come luogo di dispersione e dolore) e di evasione verso il sogno e l'immaginazione. La sua è una condizione esistenziale cui fa da pendant uno stile che si stacca decisamente dalla norma linguistica tradizionale.

Gianfranco Contini, dopo aver fatto l'inventario di tutti gli aspetti di questo rivoluzionario linguaggio poetico, ne disvela il movente: "quando si usa un linguaggio normale, vuol dire che dell'universo si ha un'idea sicura e precisa, che si crede in un mondo certo, ontologicamente molto ben determinato... Le eccezioni alla norma significheranno allora che il rapporto fra l'io e il mondo in Pascoli è un rapporto critico". La novità formale è spia di una posizione umana dilacerata. La matrice di tale condizione va anche cercata nell'esperienza privata: ventenne, nel 1876, avendo perso sette dei dodici componenti la sua famiglia, si ritrova ad averne lui la responsabilità. Superata questa crisi, la sua poetica approda provvisoriamente ad un "realismo lirico ' io cui la natura è virgilianamente percepita come madre, come paradigma di una convivenza semplice, amorevole e pietosa. Ma tale "classica" perfezione dei reale non lo può appagare: già nelle Myricae del 1890 subentra la nostalgia di una fede che dia luce al cuore del poeta : lo attestano due celebri poesie dei '96, X agosto e L'assiolo, cantano la drammatica condizione umana e la dicotomia tra tensione alla pienezza di luce, sete di Assoluto e universale destino di morte. La tragedia del male nella storia, l'esperienza del dolore, l'ineluttabilità della morte: questi alcuni dei nuclei tematici dei grandi libri di Pascoli: Primi e Nuovi poemetti, Canti di Castelvecchio e Poemi conviviali. Palese è la contestazione dell’orizzonte naturalistico e l’opzione per quello che Augusto Vicinelli chiama "realismo mistico": la ragione ci rivela, contro l'idea positivista, una finestra spalancata sull'oltre, sul mistero di Dio. L'esistenza appare divisa, scagliata lontano dal suo centro (etimologicamente "dia-bolica"); ma attende di venire ricompaginata, di tornare "sim-bolica", ricostruita in unità. Il libro lo dice in maniera eloquente.

Il libro è una lirica in terzine dantesche, divisa in tre parti. Pascoli dà una parabola della condizione umana nella stessa essenza: la vita appare come inconciliabile e insoluta sete di conoscenza, viaggio ora lento ora nervosamente celere verso il bramato Senso ultimo, ricerca senza fine del Fine adeguato. Pascoli ricorre spesso al verso prosa, ottenuto attraverso l'enjambement; nel ritmo scisso e spezzato (incisi, puntini di sospensione).Il poeta sente verso la realtà che lo circonda un senso di piccolezza : il messaggio di Pascoli non è dunque nichilistico: è piuttosto un grido che sgorga dalla enigmaticità ultima delle cose. La Vertigine. È l’incarnazione esatta della dimensione pascoliana, dinnanzi al mistero del male del mondo di "questo opaco atomo del male". La poesia di Pascoli è un’infantile predilezione per la semplicità : il poeta deve sapere cogliere il segreto delle cose nella loro semplicità, con la disposizione d’animo di un fanciullino. L’autore rifiuta il progresso e rifugia nel guscio del proprio io, lontano dalla storia, in un mondo fra illusione e sogno. Quando nacque il Pascoli era ancora in vigore in Piemonte in vigore lo Statuto Albertino, che prevedeva una Camera dei deputati ed un Senato di nomina regia e che sarebbe poi diventato, nel 1861, la legge fondamentale del Regno d'Italia. Il processo di unificazione dell'Italia, infatti, si realizzò attraverso l'espansione del regno di Sardegna, che estese le leggi dello stato piemontese.
Nello Statuto albertino il ruolo centrale all'interno dello stato è ancora assegnato al re, che detiene il potere esecutivo, ha una forte influenza sul potere legislativo e quindi sul parlamento. Un'altra importante caratteristica di questo statuto è la sua flessibilità, cioè la possibilità di modificarlo senza particolari procedure. Fu proprio questa caratteristica che permise a Mussolini di instaurare il suo regime. Mussolini ricevette, nel 1922, l'incarico di formare il nuovo governo dal re Vittorio Emanuele III, in seguito alla marcia su Roma. Il regime fascista venne instaurato attraverso una serie di leggi che non abrogarono lo Statuto albertino, ma che gli fecero perdere efficacia. Al centro dello stato venne posta la figura del capo del governo, responsabile del suo operato difronte al re e non di fronte al Parlamento. Al Parlamento non rimase altro che una funzione di pura ratifica. Per assicurare la fedeltà della camera dei deputati al regime, nel 1928 venne introdotta l'elezione dei deputati su un'unica lista bloccata predisposta dal partito fascista. Nel 1939 la camera dei deputati venne, anche formalmente, soppressa e sostituita con la camera dei fasci e delle corporazioni, i cui membri vennero eletti dal governo e dal partito. Durante questo regime vennero soppresse le libertà sindacale e civili. Tra la maggior parte del popolo italiano iniziò a nascere un desiderio di rivolta contro l'ingiustizia e gli abusi del potere istituzionale, creando, anche tra scrittori importanti, come per esempio Ignazio Silone, forti idee antifascite. Nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, gli anglo-americani sbarcarono in Sicilia e s'impadronirono dell'isola. Ciò spinse il Gran consiglio del fascismo contro Mussolini, che il 25 luglio 1943 venne destituito dal re e sostituito da Badoglio. Alla fine della guerra il governo decise di affidare la scelta fra la monarchia e la repubblica al popolo, che il 2 giugno 1946 votò a favore della seconda in un referendum. Si svolsero le elezioni per l'Assemblea Costituente (alla quale vi prese parte anche Silone), che aveva il compito di dare al paese una nuova legge fondamentale. La nova Costituzione repubblicana entrò in vigore il 1° gennaio 1948 e si ispirava ai modelli democratici ottocenteschi per la parte riguardante le istituzioni ed i diritti politici: essa dava vita, infatti, ad un sistema di tipo parlamentare, col governo responsabile di fronte alle due Camere, la Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica, titolari del potere legislativo, entrambe elette a suffragio universale ed incaricate anche di scegliere, in seduta congiunta, un capo dello Sato con mandato settennale. Era inoltre previsto che una Corte costituzionale vigilasse sulla Conformità delle leggi alla Costituzione. Insomma nasce il Parlamento italiano acor'oggi vigente. Il 18 aprile si svolsero le elezioni per la camera di deputati e per il senato ed il 12 maggio fu eletto, dal Parlamento, il primo presidente della repubblica italiana: Luigi Einaudi. Il parlamento si compone di due camere: la camera dei deputati ed il senato della repubblica.

 

Entrambe le camere durano 5 anni (legislatura) e la maggior parte dei parlamentari sono eletti con suffragio universale diretto. Le loro elezioni avvengo con due sistemi elettorali leggermente diversi, ma entrambi di tipo maggioritario con correzione proporzionale. Le camere si riuniscono e deliberano sempre separatamente, ma in alcuni casi stabiliti dalla Costituzione, le due camere agiscono come un unico organo (il parlamento si riunisce in seduta comune). Ciò avviene per:

l'elezione del presidente della repubblica,

il giuramento del presidente della repubblica,

per eleggere 5 giudici costituzionali,

per eleggere 10 componenti del consiglio superiore della magistratura,

per mettere in stato d'accusa il presidente della repubblica.

Ciascuna camera ha il potere di stabilire in piena autonomia le norme per il proprio funzionamento attraverso l'approvazione del proprio regolamento parlamentare. A capo di ciascuna camera c'è un presidente, che dirige la discussione, mette in votazione le deliberazioni e ne proclama i risultati.
Gran parte del lavoro parlamentare si svolge all'interno di organismi ristretti, le commissioni, che costituiscono una sede specializzata per affrontare le questioni con maggiore approfondimento. Le commissioni costituiscono una sede specializzata per affrontare le questioni con maggiore approfondimento.
Esistono diversi tipi di commissioni parlamentari.

Le commissioni permanenti, che si occupano ciascuna di una specifica materia e svolgono importanti funzioni nel procedimento legislativo. Si riuniscono in sede referente o in sede deliberante, ma a volte si riuniscono anche al di fuori del procedimento legislativo, per discutere liberamente su qualsiasi questione o per formulare eventualmente risoluzioni.

Le commissioni bicamerali, che hanno specifici compiti di controllo in particoari settori della vita politica ed amministrativa.

Le commissioni d'inchiesta, che vengono costituite per legge allo scopo di condurre indagini su problemi di rilevanza sociale o politica e hanno poteri più estesi delle normali commissioni. Il loro scopo è quello di ricostruire la verità su certi fatti di grande rilievo politico e di farla conoscere all'opinione pubblica.

Il parlamento svolge numerose funzioni, in quanto è espressione diretta della sovranità popolare. Le sue funzioni sono riconducibili a due:

1) funzione legislativa. Tale funzione consiste nel fare le leggi. Nell'ordinamento giuridico un atto normativo assume il nome di legge soslanto se è adottato dal parlamento attraverso un particolare procedimento. Anche altri apparati pubblici hanno il potere di emanare norme che hanno forza di legge, ma che hanno una denominazione diversa, come i decreti-legge ed i decreti legislativi. Il parlamento ha una competenza generale, cioè può disciplinare con legge qualsiasi materia, purchè non sia in contrasto con la Costituzione. Le leggi incostituzionali sono efficaci, ma possono essere dichiarate come tali e quindi annullate dalla corte costituzionale.
In alcuni casi la Costituzione afferma che particolari argomenti possono essere regolati solo dal parlamento, creando così una riserva di legge.

2) funzione di indirizzo e di controllo politico. Consiste nel definire gli orientamenti politici dello stato. Il governo deve infatti presentare il proprio programma politico al parlamento che lo approva con la mozione di fiducia. Il parlamento può, in qualunque momento, dare la sfiducia al governo se si trova in disaccordo con l'indirizzo politico portato avanti da quest'ultimo.
Il parlamento può controllare l'operato del governo avvalendosi di diversi strumenti: interpellanze e interrogazioni, con le quali chiede informazioni sul comportamento del governo e della pubblica amministrazione oppure sulle iniziative che il governo intende prendere in relazione a determinati argomenti; risoluzioni o mozioni, con cui i parlamentari possono prendere l'iniziativa di discutere su qualunque tema e formulare propri indirizzi politici; controllo finanziario, in quanto tutte le entrate e le uscite dello stato devono essere autorizzate dal parlamento mediante l'approvazione del bilancio preventivo e della legge finanziaria.

IThe United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland is a constitutional monarchy. The head of state, that is the king or queen, has limited powers. Elizabeth II has a ceremonial role. She makes state visits to other countries, opens and closes Parliament, signs bills debated by Parliament and appoints the Prime Minister. She "reigns but does not rule". The English Parliament is made up of two Houses: The House of Commons, composed of over 650 elected members and the House of Lords, which has over 1000 members. Most are hereditary whilst some are life peers by the sovereign in recognition of their services to the country. The most senior members of the judiciary and the Church of England also sit in the House of Lords. The House of Lords has the duty of reviewing legislation. It cannot stop a bill becoming law but it can make changes. The House of Commons is the truly representative House as its members are elected from all parts of the country. The government is formed by the majority party. Its leader becomes Prime Minister and chooses the cabinet ministers. The minority party becomes the Opposition, whose job is to criticise and try to improve the work of the government. Following the historic peace referendum in May 1998 the 108-members Northern Ireland Assembly was elected in June 1998. It has quite wide powers of local government. National assemblies already exist in Scotland and Wales.