LA SCAPIGLIATURA
Massimiliano Badiali
Dice Rodolfo Quadrelli: " La scapigliatura milanese è l'equivalente italiano di Baudelaire ".
Praga dice: " 1 fiori dei male sono una imprecazione cesellata nel diamante ". Un'imprecazione, e anche Praga bestemmia, perché la bestemmia, come in Capaneo (Cfr.. Dante) è, quando è " vera ", il test di una sete: bestemmi Colui che vorresti incontrare perché non riesci a conoscerlo. Cosi è in Praga e in Baudelaire: una teologia negativa, una invito a Dio attraverso la discesa.
Nel 1861 Arrigo Boito è a Parigi. Conosce Baudelaire, con gli amici Praga, Camerana e Tarchetti ne ripropone in Italia alcuni aspetti decisivi, entro un costume di vita da bohémien, da " maledetti ".
Gli scapigliati per primi affrontano in Italia la realtà del " moderno ". Si ricordi la frase di Maritain: " Letà moderna è quella che ha posto un'inimicizia assoluta tra ragione e mistero "; gli scapigliati sono ì primi ad accorgersene e a ribadire le ragioni del mistero contro la presunzione della ragione. Due sono gli obiettivi polemici:
a) la critica alla " città " moderna. In una poesia intitolata Case Nuove, Boito
stigmatizza gli speculatori edilizi (siamo nel 1866 a Milano): " la progenie dei lupi e delle scrofe oggi è sovrana e intanto le pareti della vecchia cittade hanno un profilo scomposto e tetro e sul sacro mister de' focolari viene a urtar la mannaia ". Critica la logica dell'avere che uccide i segni della tradizione, dei focolari, del calore umano. Oppure Tarchetti che scrive a sua madre:
" Milano è forse dal lato del benessere sociale la migliore città.
Son luce ed ombra, angelo e
Farfalla o verme immondo
Sono un caduto cherubo
Dannato a errar sul mondo o un demone che sale
Affaticando l'ale,
Verso un lontano ciel.
Ecco perché nell'intime
Cogitazioni io sento la bestemmia dell'angelo
Che irride al suo tormento l'umile orazione
Dellesule tírnone
Che diede a Dio fede
Ecco perché m'affascina ebbrezza di due canti
Ecco perché mi lacera langoscia di due pianti
Ecco perché il sorriso
Cile mi contorce il viso
d'Italia, ma non si ha un orizzonte.
Non si conoscono qui le stagione che dall'atmosfera ".
Pertanto critica alla città moderna come luogo della razionalizzazione, che maschera la dissacrazione di ogni valore.
Nella poesia A una mummia Boito dice " Ti derubò la pace una che non ha posa, scienza curiosa ". Dunque critica alla scienza moderna come curiosità.
In Lezione d'anatomia Boito, di fronte allo scempio della giovane donna, si irrita: "Scienza. vattene con tuoi conforti!
Ridammi i mondi dei sogno e Vanima".
Poi: " E mentre striscio nel mio segreto quei sogni adorni"
1) Boito sogna cioè la ragazza giovane, casta in quel cadavere si scopre un feto di trenta giorni ; dissacrazione della morte, e illusione che non tiene nell'impatto con il sogno.
2. Dualismo manicheo: tra bene e male, tra spirito e materia, tra luce e buio.
E noi viviam, famelici
Di fede o d'altri inganni,
Rigirando il rosario
Monotono degli anni,
Dove ogni gemma brilla
Di pianto, acerba stilla
Fatta d'acerbo duol.
Talor, se sono il demone
Redento che s'insidia
Sento dall'alma effondersi
Una speranza pia
E sul mio buio viso Del gaio paradiso
Mi fulgureggia il sol.
L'illusíon - libellula
Che bacia i fiorellini
L'illusion-scoiattolo
Che danza in cima i pini
L'illlusion-fanciulla
Che trama e si trastulla
Colle fibre del cor,
Viene ancora a sorriderrni
Nei dì più mesti e soli
E mi sospinge l'anima
Ai canti, ai carmi, al voli;
E a turbinar m'attira
Nella profonda spira
Dell'estro ideator
E sogno un'Arte eterea
Che forse in cielo ha norma
Franca dai rudi vincoli
Del metro e della forma,
Piena dell'Ideale
Che mi fa batter l'ale
E che seguir non so.
Ma poi se avvien che l'angelo
Fiaccato si ridesti,
1 santi sogni fuggono
Impauriti e mesti;
Allor, davanti al raggio
Del mutato miraggio,
Quasi rapito, sto.
E sogno allor
la rnagica Circe col suo corteo
D'alci e di pardi, attoniti
Nel loro incanto reo.
E il cielo, altezza impervia,
Derido e di protervia
Mi pasco e di velen.
E sogno un'Arte reproba
Che smaga il mio pensiero
Dietro le basse immagini
D'un ver che mente al Vero
E in aspro carine immerso
Sulle mia labbra il verso
Bestemmiando vien.
Questa è la vita! L'ebete
Vita che c'innamora,
Lenta che pare un secolo,
Breve che pare un'ora
Un agitarsi alterno
Fra paradiso e inferno
Che non s'accheta più!
Come istrion, su cupida
Plebe di rischio ingorda,
Fa pompa d'equilibrio
Sovra una tesa corda
Tale è l'uman, librato
Fra il in sogno di peccato
E un sogno di virtù.
Di fede o d'altri inganni,
Rigirando il rosario
Monotono degli anni,
Dove ogni gemma brilla
Di pianto, acerba stilla
Talor, se sono il dèrnone
Redento che s'insidia
Una speranza pia.
E sul mio buio viso
Del gaio paradiso
Mi fulgureggia il sol.
Boito fa pure un'autocritica, in due delle sue più famose poesie; A Emilio Praga: " Siam tristi Emilio [ ... ], ci strugge perenne un desiderio sempre nuovo ed affranto ( = che si spezza dunque) [ ... ] . Son stanco, languente. Ho già sentito assai quel doppio morso dei Vero e dell'Idea (il vero e l'ideale mi hanno morso la carne ormai troppo a lungo, non so reggere più; ancora il dualismo) ".
A Giovanni Camerana: " Non spegnere per tema o per ristoro quell'incendio divin che ti fa egro ( = non spegnere quella domanda di Dio che hai dentro e ti fa aspro, perché è l'unica cosa preziosa che hai) [ ... ] . Torva è la musa. Per l'Italia nostra corre levando impetuosi gridi una pallida giostra di poeti suicidi ".
(Tarchetti muore a 30 anni, Praga muore a 36 anni, Camerana si uccide nel 1905). Questi poeti " alzan le pugna e mostrano a trofeo dell'Arte loro un veri-ne ed un aborto. lo pur fra i primi di cotesta razza urlo il canto wiatemico e macabro, poi con rivolta pazza atteggio a fischi il labro ". Quindi Boíto dice di essere stato tra i primi a fondare questa svolta violenta, ma poi ci fischia sopra. " Dio ci aiuti, o Giovanni, Egli ci diede stretto orizzonte e sconfinate lali. Cé povera fede e immensi ideali. E noi non trovando il Bello ci abbranchiamo all'Orrendo ".
Anche in Tarchetti c'è il dualismo. Nella Fosca c'è la vicenda di Giorgio e due donne, Clara (chiarore, luce) e Fosca (tenebre, buio); le due donne implicano già il dualismo. La vicenda si snoda come una storia che parte dalla luce dell'amore - Clara -, per arrivare all'orrido dell'ossessione - Fosca -. Il racconto si sdoppia: alla zona felice di Clara, luminosa e arcana, di sanità anche fisica, si contrappone la zona misteriosa e drammatica, tormentosa e buia, mortuaria e vagamente perversa, dominante il rapporto di Giorgio coli Fosca. Ma la storia è una sola, non è che Clara e Fosca siano due persone distinte; infatti Fosca è nel presente mentre Clara è solo ricordata, narrata. La luce è passata dunque (anche in Praga ne I Re Magi).
Leggo un dialogo tra Giorgio e Fosca; c'è un crocefisso alle foro spalle; l'uno chiede all'altra se crede in Cristo: " Vi fu un tempo in cui ho creduto anch'io, in cui ho pregato anch'io. Quando avevo 15 anni piangevo tutte le sere pregando. Ah, quell'età, quella fede. Ora tutto è finito, sono 3 angeli che non prego più. Penso sovente al cielo ma senza invocarlo ".
La luce della fede è solo un ricordo per gli scapigliati, il presente è fosco. Fosca non è solo antitetica a Clara, come la malattia alla salute, la luce al buio, ma Fosca è anche lacerata e divisa in se stessa, preda del dubbio, dei volere e disvolere. Fosca è l'espressione della schizofrenia, della nevrosi di Tarchetti.
Cito ora alcuni versi della favola poetica di Boito " Re Orso "; tra la prima e la seconda parte c'è un " intermezzo storico ", si parla dell'anno 1000 e seguenti; " Quel tempo era il preludio di un'epopea divina".
Per cui per Boito la malattia dal 1000 in poi, Il tarlo dei tempi moderni è lo scetticismo che nega le evidenze più evidenti della vita.
E questo giudizio sullo scetticismo l'eredità che ci lasciano gli Scapigliati e la testimonianza con cui fare i conti.