IL SIMBOLISMO

Il valore magico del Simbolo rimase vivo per tutto il Medioevo, il Rinascimento ed oltre; la realtà oggettiva del Simbolo rimane il suo enorme potere espressivo, la capacità di rivelare strutture e caratteri altrimenti inaccessibili che fanno parte di mondi a noi sconosciuti ma reali, anche se non evidenti nell'esperienza immediata. I Simboli sono stati espressioni delle civiltà, materializzazioni del divino e del trascendente, forza motrice della Tradizione, segni visibili della cosmogonia divina. Lo studio del Simbolo è l'intuizione del dualismo, la realtà pratica di come tutti gli antagonismi e le contraddizioni del trascendente, finiscano sempre per condensarsi in una sola unità. L'uso del Simbolo nella trasmissione degli insegnamenti dottrinali relativi alla Tradizione, è di fondamentale importanza, e non a caso, il Simbolismo infatti, è il modo più adatto e fruibile per l'uomo al fine di tramandare insegnamenti e pensieri, il modo più naturale. Tutto ciò è facilmente comprensibile se si pensa che il linguaggio stesso, in fondo, è Simbolismo, qualunque espressione umana è in realtà un simbolo del pensiero che si traduce esteriormente; unica differenza rimane nel fatto che il linguaggio è analitico e discorsivo mentre il Simbolismo è essenzialmente intuitivo.

Da questi ultimi discorsi potremmo quindi porci un ulteriore interrogativo: il Simbolismo è di natura umana o di natura Divina? Riflettendo sul fatto che le leggi naturali alle quali tutti siamo sottoposti, dalle quali proveniamo e nelle quali viviamo, sono in fondo una espressione ed una esteriorizzazione della Volontà Divina, e se riflettiamo ancora sul fatto che il Simbolismo trova il suo fondamento nella natura stessa degli esseri umani, dobbiamo necessariamente concludere che il Simbolo ed il Simbolismo stesso sono sicuramente di natura Divina.

A questo punto possiamo provare a dare una scala "gerarchica" al Simbolo ed al Simbolismo, possiamo sicuramente riflettere sul fatto che nella Natura il Sensibile è Simbolo del Soprasensibile, l'intero ordine naturale è a sua volta Simbolo dell'ordine Divino, e possiamo concludere affermando che l'uomo stesso è a sua volta Simbolo in quanto creato ad immagine della Natura Divina.

Il Simbolismo, nel campo letterario, rimanda all’intuizione che attraverso il Simbolo l’uomo comprendere ciò che lo circonda. Il simbolismo è un movimento letterario e artistico sorto in Francia per iniziativa di Jean Moréas, che ne pubblicò il manifesto su "Le Figaro" del 18 settembre del 1886, lo stesso anno della pubblicazione della rivista "Le Decadent". I simbolisti pubblicarono numerose riviste, tra le quali spiccano le diverse riviste da cui il verbo simbolista si diffuse: Le Symboliste, La Plume, Le Mercure de France, la Revue blanche.

Il simbolismo prende lo spunto da una della più celebri poesie di Baudelaire, «Correspondances» (corrispondenze), in cui il poeta francese scrive che tutte le cose hanno tra di loro un legame misterioso, per cui spesso una ne richiama l'altra, come un profumo o un colore o una musica richiamano ricordi e tempi lontani.

Per l'artista simbolista la realtà è mistero e la natura si presenta come una foresta di simboli che al poeta spetta di interpretare e svelare con un atto di intuizione–espressione. A tal scopo il poeta simbolista rifiuta la tradizionale logicità e referenzialità del linguaggio e ricorre massicciamente a tecniche come il simbolo, l’allegoria, l’analogia, la metafora ricercata, la sinestesia, gli

accostamenti imprevisti e misteriosi, le accumulazioni apparentemente insignificanti, l’uso sapiente e simbolico degli spazi bianchi, degli artifici tipografici e iconici. La poesia deve comunicare in forme non razionali, che trovano il loro grande modello nel linguaggio della musica.

La parola poetica deve ricreare magicamente la realtà:

Il verso è tutto e può tutto. Può rendere i minimi moti del sentimento e i minimi moti della sensazione; può definire l’indefinibile e dire l’ineffabile; può abbracciare l’illimitato e penetrare l’abisso; può avere dimensioni d’eternità; può rappresentare il sopraumano, il soprannaturale, l’oltramirabile; può inebriare come un vino, rapire come un’estasi; può nel tempo medesimo possedere il nostro intelletto, il nostro spirito, il nostro corpo; può, infine, raggiungere l’Assoluto. (Gabriele D’Annunzio)

 

Se il poeta deve farsi veggente al lettore è richiesto di essere persona dotata di cultura, intuizione e sensibilità non comuni, di lasciarsi coinvolgere in un’esperienza di lettura che va al di là di ogni normale atto di comunicazione, di tendere i suoi sensi e la sua sensibilità per cogliere i segni e gli indizi dell’esperienza sovranazionale compiuta dal poeta.

Ogni cosa sacra – e che voglia restare sacra – si avvolge nel mistero. Le religioni si trincerano in arcani misteri che si svelano solo a chi è predestinato. Anche l'arte ha i suoi arcani... Io mi son chiesto spesso perché questa caratteristica indispensabile è stata negata ad una sola arte, alla più grande, cioè alla poesia... (Stéphan Mallarmé)

 

 

 

Per i simbolisti la realtà non è quella della scienza, della ragione o dell'esperienza, è qualcosa di più profondo e misterioso che può essere inteso soltanto dalla poesia. Poesia è perciò la rivelazione dell'essenza misteriosa del reale: essa cerca le affinità segrete nelle apparenze sensibili, per cogliere idee primordiali; essa intende il linguaggio della realtà profonda, il messaggio segreto della natura, l'essenza.

L'arte è l'unico valore e la vita per potersi realizzare deve risolversi in arte. L'arte è atto vitale, è la realizzazione dell'essenza stessa della vita, è creazione e va al rovescio rispetto ai valori della società borghese.

Il poeta rinuncia alla funzione morale e sociale caratteristica dei romantici; aspira a risalire alle sorgenti stesse dell'essere, vuol farsi veggente, rivelare, cioè, l'ignoto, percepibile per illuminazioni, e dell'inconscio, secondo le misteriose leggi delle universali corrispondenze e delle analogie.

In Italia il Simbolismo ha il suo massimo esponente in Giovanni Pascoli. Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna nel 1855.

Il padre gli morì assassinato quando egli aveva solo 12 anni; a questo lutto si sommarono altre tragedie familiari (tra cui la morte della madre) che influenzarono profondamente la sua vita, la sua visione del mondo e la sua poetica. A Bologna, dopo la laurea, si avvicinò a gruppi anarchici e socialisti ma, in seguito ad una esperienza di carcere che lo segnò in maniera pesante, abbandonò la politica attiva. Decise di dedicarsi all'insegnamento universitario non tralasciando mai, però, la sua unica passione: la poesia.

La sua produzione poetica, vasta ed eclettica, consistette in un incessante sforzo di ricerca metrica e formale imperniata su temi vari, quali: il gusto per le piccole cose, viste con gli occhi di un bambino; il torbido, il nascosto; l'ansioso bisogno di quiete, di un "nido" sereno di affetti; il simbolismo; la celebrazione, propria delle sue ultime opere.

Straordinario erudito, capace, nella sua costante opera di rinnovamento, di frantumare il discorso letterario in fugaci impressioni, affascinato dai temi della classicità nei suoi momenti di decadenza (tanto da comporre i "Carmina" in lingua latina), Giovanni Pascoli si spense nel 1912.

Tra le opere Myricae costituiscono alcuni dei primi esempi di "poesia pura": impressioni veloci, ricchezza e complessità di simbolismi. In queste brevi poesie (così chiamate dai tamerici, dei piccoli fiori) la sintassi tradizionale e la solenne letterarietà lirica vengono frantumate a favore della preziosità della parola, ricercata nel toscano e nel romagnolo dei contadini e dei paesani.

Stampati a Lucca nell'aprile del 1903, i "Canti di Castelvecchio" furono definiti dallo stesso Pascoli come 'Myricae autunnali' ed infatti il loro testo di apertura, "La Poesia", descrive come 'umile' lo spirito della musa pascoliana, riprendendo in pieno l'atmosfera di semplicità tipica della raccolta di poesie precedente. Numerosi i componimenti che colgono esistenze animali e naturali ('l'ordine latente' del libro era costituito da una corrispondenza tra le stagioni ed i sentimenti umani) e la dimensione ristretta e domestica spesso si erge a paradigma universale.

Su Pascoli è pesata in passato una critica e un’ottica che lo considerava un poeta campagnolo, ma in verità dietro la poetica pascoliana si intravede una simbologia profonda e intrinsicamente decadente. La parola poetica dovrà essere allora non piattamente descrittiva, bensì evocativa (evocare: chiamare al di qua ciò che sta oltre), suggestiva (sub-gerere: portare nascosto qualcosa di prezioso), tesa pertanto a suggerire più che a dire. Ne verrà un linguaggio che predilige la metafora, la metonimia e l'analogia; che fonde termini appartenenti a sfere sensoriali diverse (sinestesia); che abbonda di onomatopee e sonda tutte le possibilità musicali e incantatrici della parola (fonosimbolismo); che ama la paratassi e le frasi brevi; che ci sorprende con coppie aggettivo sostantivo in forte attrito semantico (antitesi, ossimoro). Pascoli "ha insegnato alla poesia contemporanea a guardare alla realtà come a un insieme discontinuo di oggetti inquietanti" (Elio Gioanola). Per questo egli è il padre della poesia italiana del '900.

Il ricordo della morte del padre fa eco in tutte le sue poesie e questo evento sembra impedire a Pascoli di crescere e di aver una vita propria sia psicologica che affettiva. Psicologicamente egli è legato alla famiglia di origine. Il poeta non rivela mai troppo apertamente ciò., anche perché forse inconsapevole, ma certi oggetti se analizzati alla luce della psicologia sono simboli di questo trauma. Simboli di questa regressione all’infanzia sono la casa e il nido: se la casa è il luogo «caldo, chiuso, segreto», impermeabile rispetto all'esterno, rassicurante (si pensi alla casa di Castelvecchio), il nido rappresenta la l’ottica bambino che vede nel padre protezione e sicurezza nella madre affetto. Come leggiamo in X Agosto la morte del padre è paragonata a quella di una rondine che porta il cibo ai suoi piccoli : come la rondine così il padre muore, non potendo più proteggere il nido familiare. La rondine fa parte della riccorente ornitologia (ricorso di uccelli) che nella poesia pascoliana rappresenta un elemento aereo, che con il corredo di onomatopee, esprime una volontà di fuga dalla realtà oggettiva (come luogo di dispersione e dolore) e di evasione verso il sogno e l'immaginazione.

 

X Agosto

 

San Lorenzo, io lo so perché tanto

di stelle per l’aria tranquilla

arde e cade, perché sì gran pianto

nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:

l’uccisero: cadde tra spini:

ella aveva nel becco un insetto:

la cena de’ suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende

quel verme a quel cielo lontano;

e il suo nido è nell’ombra, che attende,

che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:

l’uccisero: disse: Perdono;

e restò negli aperti occhi un grido:

portava due bambole in dono...

Ora là, nella casa romita,

lo aspettano, aspettano in vano:

egli immobile, attonito, addita

le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi

sereni, infinito, immortale,

oh! d’un pianto di stelle lo inondi

quest’atomo opaco del Male!

 

Del mondo Pascoli non capisce il male: il mondo è un’atomo opaco, su cui la morte vince: e la vita sembra non avere senso se non nella morte. Anche il ricordo dei morti familiari è ossessiva e accanita: essi vigilano, protestano, si lamentano, "materializzano al di là del tempo. L’irrevocabilità dell'ambito chiuso e geloso del nido, da cui non si sfugge mai, fino a fare dell'appartenenza al 'nido' un dovere di ricordo continuo" (Bàrberi). Anche Il gelsomino notturno si apre con questo ricordo: «nell'ora che penso a' miei cari»; tema che ritorna in «nasce l'erba sopra le fosse» (v. 12) e in «urna» (v. 23):

 

IL GELSOMINO NOTTURNO

E s'aprono i fiori notturni,

nell'ora che penso a' miei cari

Sono apparse in mezzo ai viburni

le farfalle crepuscolari.

Da un pezzo si tacquero i gridi;

là sola una casa bisbiglia.

Sotto l'ali dormono i nidi

come gli occhi sotto le ciglia.

Dai calici aperti si esala

l'odore delle fragole rosse.

Splende un lume là nella sala.

Nasce l'erba sopra le fosse.

Un'ape tardiva sussurra

trovando già prese le celle.

La chioccetta per l’aia azzurra va col

Suo pigolio di stelle.

Per tutta la notte s'esala l'odore che passa col vento.

Passa il lume su per la scala;

brilla al primo piano: s'è spento...

è l'alba: si chiudono i petali un poco gualciti;

si cova, dentro l'urna molle e segreta,

non so che felicità nuova.

 

La lirica è metricamente divisa in sei quartine di novenari; nei vv. 1-19 frase sintattica e frase metrica coincidono: brevi periodi di uno o più spesso due versi. Ma a partire dal v. 20 cambia il ritmo; il dettato si frange in segmenti sintattici, a volte brevissimi, comunque non più coincidenti con verso; e vi sono i puntini di sospensione: chiaro esempio di poesia-prosa, di "disintegrazione della forma tradizionale" (Alfredo Schiaffini).

Ad una prima lettura Il gelsomino notturno sembrerebbe una lirica di tipo

impressionistico, in cui il poeta registri e giustapponga disordinatamente sensazioni notturne fra loro irrelate, diversi flash visivi, olfattivi, acustici e sinestetici. Ma Pascoli sotto il senso letterale della scrittura cela un significato più profondo, simbolico. Questi ci offre così la chiave di lettura profonda del testo: evocazione di un rito nuziale. Trainati su questo ordito, e ad esso funzionali, sono i temi del «fiore» e del «nido». Il fiore, in quanto immagine metaforica del sesso femminile, è tema che s'intreccia strettamente a quello dell'evento amoroso. Esso percorre tutta la lirica con una s erie di evenienze strettamente concatenate: titolo e primo verso (gelsomino notturno - «fiori notturni»); vv. 1-9 e 10 («s'aprono» - «aperti»); vv. 9 e 10 - 17 e 18 («s'esala l'odore» -«s'esala l'odore»); vv. 1 - 21 («s'aprono» «si chiudono»). Quei delicati fiori che, temendo i raggi del sole, si aprono di notte e la inebriano del loro profumo (sensualissima la sinestesia: «l'odore di fragole rosse»), infine si chiudono «un poco gualciti»: per portare frutto è necessario che il seme muoia, che l'intatta bellezza si sacrifichi. Anche il motivo del nido percorre da un capo all'altro il testo: indirettamente (vv. 5, 8, 14); esplicitamente al v. 7 «sotto l'ali dormono i nidi»; poi, ai vv. 15-16, il fanciullino pascoliano riconduce l'immensità del cielo all'orizzonte ristretto di un'«aia azzurra» in La Chioccetta» - ovvero la costellazione.

Se per Pascoli l’uso dei simboli è totalmente inconscio, per Baudelaire il simbolo è ricerca e procedimento intellettuale.

Le poésie de Pascoli est symboliste parce que pour lui les symboles sont incoscients. En France le symbolisme nait comme mouvement avec le manifest de Jean Moréas en 1886, qui propose ce nom à l’ecole. Mais pour comprendre les sybolisme,c’est importante la leçon poetique de Charles Baudelaire.

Charles Baudelaire est né à Paris en 1821 et il y est mort en 1867. Du Romantisme, Baudelaire hérite la vision du poète en marge de la société humaine, plus près de Dieu (Bénédiction) ou de Satan (Les Litanies de Satan) que du monde terrestre (L'Albatros). Ce refus du monde matériel, notamment de l'univers bourgeois triomphant qui s'impose à la France pendant le 19e siècle, s'incarne dans une imagerie où les mouvements ascendants – élévation symbolisant le spirituel (cf. le thème de l'ange), le mystique et le génie artistique (Les Phares) - s'opposent aux «miasmes morbides» de la Terre (Élévation), à la chute dans le néant (Le Goût du néant) et au poids du Spleen et du Temps (Spleen et La Chambre double). Cette lutte entre le haut et le bas, entre l'Idéal et le Spleen, se poursuivra tout le long des Fleurs du Mal à travers de nouveaux thèmes comme la ville, le vin, le mal et la révolte, pour aboutir à l'ultime espoir, au dernier voyage: la mort.

Au-delà de cette représentation du monde assez typiquement romantique que nous venons de décrire, Baudelaire annonce le Symbolisme.

La révoultion de Baudelaire est dans la nouveauté de l’usage des mots : il ne lui intéresse pas la représentation du réel, mais l’’analyse des sensations et des impressions.

Cette révolution l’on peut voir dans Les fleurs du mal, dans l’introduction desquels Baudelaire écrira: "dans ce livre atroce, j’ai mis toute ma pensée, tout mon coeur, toute ma réligion".

Le poète utilise un language classique (l’usage du vers traditionnel etc.), mais le continu de l’oeuvre met en évidence une nouvelle conception, presque révolutionnaire sur l’homme.

Pour Baudelaire l’homme a deux postulations : l’une vers le ciel, l’autre vers la terre (le spleen et idéal).

Le spleen est un mot anglais qui signifie angoisse, ennui, nausée, et l’ideal, au contraire, est la tendance à l’absolu, à la réalité supérieure. En conclusion pour Baudelaire le corps est la prison de l’âme, comme disait Platon l’ancien philosophe grec: l’âme tend par sa nature à l’absolu, qui est nié à l’homme par la possession du corps.

Voilà la question anthropologique du poète: comment on fait à vivre avec un corps ? Il faut que l’homme s’en libère. La solution est de combattre l’angoisse de la perception de son propre corps à travers le vin, la poésie et la vertu qui sont des moyens de se détacher du réel.

Baudelaire a fondé le symbolisme dans la poesie Correspondances.

Le poéte pour Baudelaire est seul comme un albatros (solitaire). Dans sa solitude doit chercher les correspondances dans la nature, qui est un forêt de symboles.

À travers le mélange de « parfums, coeurs et sons » se crée une correspondance de sensation qui s’appele synéstesie (……..) comme en Pascoli nous avons celle de l’ "odeur de fraises rouges" dans la poesie « Gelsomino notturno ».

 

CORRESPONDANCES

La Nature est un temple où de vivants piliers

Laissent parfois sortir de confuses paroles;

L'homme y passe à travers des forêts de symboles

Qui l'observent avec des regards familiars.

Comme de long échos qui de loin se confondent

Dans une ténébreuse et profonde unité,

Vaste comme la nuit et comme la clarté,

Les pafums, les couleurs et les sons se répondent.

Il est des parfums frais comme des chairs d'enfants,

Doux comme del hautbois, verts comme les prairies,

- Et d'autres, corrompus, riches et triomphants,

Ayant l'expansion des choses infinies,

Comme l'ambre, le musc, le benjoin et l'encens,

Qui chantent les transports de l'esprit et des sens.

 

Cela, le poème Correspondances l'illustre en faisant la description d'analogies entre les perceptions relevant de sens différents, mais aussi en suggérant une unité secrète entre les univers sensoriel et spirituel, unité que le poète aurait charge de comprendre et de traduire. Si la foi en une telle unité n'est pas le fait de tous les lecteurs de Baudelaire, il n'en demeure pas moins qu'elle est cohérente avec une oeuvre où les sensations dominent, notamment par l'évocations de parfums, du crépuscule parisien.