CAPITOLO III

GLI STADI DELL'ESISTENZA

Il concetto di stadio.

E' soprattutto in L'Alternativa e Stadi sul cammino della vita che Kierkegaard ha esposto l'organizzazione delle sfere o degli stadi dell'esistenza.

Gli stadi (stadier) testimoniano la permanenza di un orientamento che si esprimerà nel progetto di una descrizione completa dell'esistenza e dei suoi doveri. Il termine danese Stadier è stato tradotto o con tappa o con stadio. L'idea di tappa suggerisce l'idea di un cammino continuo e mette maggiormente l'accento sul percorso che sulla posizione esistenziale che sembra avere soltanto un significato transitorio. L'idea di stadio permette invece di presentare una totalità esistenziale cioè una situazione qualitativamente definita dal mondo nel quale vive. Uno stadio è una sfera di esistenza per una individualità e la dialettica degli stadi permette la descrizione di tutte le possibilità di esistenza. L'idea che la vita sia un cammino, ha la radice nella comprensione dell'esistenza come sintesi disposta a poter divenire: ogni stadio esprime l'organizzazione interna dei fattori che lo costituiscono e la maniera in cui l'esistenza si rapporta a sé stessa corrisponde a una sfera specifica nella quale essa "exprime ce qu'elle est en soi du point de vue de sa structure e de sa disposition actuelle". La descrizione degli stadi dell'esistenza si presenta come una fenomenologia esistenziale "d'où serait absente l'unité d'un développement immanet tout en revelant d'une téléologie fondée sur la disposition de la synthèse à pouvoir devenir: tout passage est ici un saut (spring) qui marque chaque fois l'intervention d'une décision".

 

 

Lo stadio estetico.

Lo stadio estetico è trattato in L'Alternativa, Gli Stadi sul cammino della vita, In vino veritas.

L'estetica qualifica l'esistenza determinata nell'attimo "comme désir et imagination en l'absence de l'unité déterminée d'un moi".

Il problema dell'esperienza estetica è al centro della riflessione nella prima fase dell'opera del filosofo, quella inaugurata da Aut Aut e conclusa con la Postilla conclusiva non scientifica.

In Aut Aut Kierkegaard considera l'esperienza estetica come un progetto globale di vita. Evidenzia lo stadio estetico come luogo di una contraddizione superabile solo tramite un salto.

La vita nel segno dell'esteticità tanto più è perfetta e chiusa in sé stessa come un'opera d'arte, tanto più è malinconica, disperata e autodistruttiva. E l'esteta non ne può uscire poiché la vita estetica accoglie in sé la coscienza della nullità di sé stessa. C'è infatti un'ambiguità irrisolta in questa vita: essa è il frutto di una scelta che non è veramente tale, ma proprio questo rappresenta la sua forza cioè di un'esistenza senza un valore intrinseco.

La disperazione può essere del tutto inconsapevole quando l'esteta pone lo scopo della vita fuori di sé (ricchezza, fama) o quando lo pone in sé (talento scientifico, artistico), perché è nel fondo dell'anima. Ma c'è un livello più alto in cui la vita estetica si apre ed è quello malinconico che incarna l'isterismo dello spirito. A questo appartengono quegli uomini alla ricerca dell'impossibilità (che hanno in sé quella che psicologicamente si chiama stato di mania o ricerca di cogliere l'infinito) ed alla ricerca di emozioni. Lo spirito vorrebbe erompere, ma siccome l'esteta vive nell'immediatezza e nell'aderenza all'attimo, lo spirito non trova modo di esternarsi. Ne nasce lo sterile e disperato ripiegarsi su sé che è la malinconia che non è altro che la disperazione vissuta esteticamente. Si tratta infatti di un lasciarsi andare, di un disporsi a cogliere ogni occasione anche la più insignificante per autoaffermarsi.

L'esteta accoglie le occasioni senza sceglierle e ciò crea in lui un effetto disgregatorio sulla personalità, un disfarsi nella molteplicità che getta colui che presume di disporre di tutto, in balìa di cose che non controlla. Ciò che soddisfa l'esteta non è che l'assoluta insoddisfazione.

L'esteta non sceglie e ciò fa sì che tutto per lui finisca per essere uguale e che non ci sia nulla che non possa, per lui, essere sostituito. Di qui l'atteggiamento tipico del seduttore: si cala totalmente nell'avventura che sta vivendo e la vive con intensità e partecipazione, ma se ne distoglie quando la giudica finita. L'esteta perciò vive questo hic et nunc.

Per l'esteta non esiste che l'istante: nessuna continuità né alcuna responsabilità appartengono alla sua esistenza.

La disperazione è la forma a priori della vita estetica perché questa vita è basata sulla pura esteriorità, sul non essere mai sé stessi, sul nulla.

Se la vita estetica che è disperazione, è consapevole l'esteta con la malinconia fa del vuoto e del nulla il mezzo di autodistruggersi. Oppure nella coscienza della nullità l'esteta identifica l'autodistruzione col senso dell'esistenza stessa: passa dalla malinconia alla desperatio Dei, al bisogno che Dio lo raccolga.

Lo stadio estetico con la disperazione può dare la possibilità di passare a quello superiore: l'etico. L'esteta se passa all'etica deve scegliere si trova innanzi ad un aut aut: o questo o quello.

Una figura che incarna l'esteta è Don Giovanni che è l'affermazione del potere demoniaco della sensualità opposta allo spirito. Di questa genialità sensuale la musica è in fondo l'unica espressione che rappresenti il potere elementare del desiderio che incarna questo seduttore. In L'Alternativa infatti, oltre a Don Giovanni, come incarnazione della genialità spontanea che cattura donne per un desiderio carnale e reale, appare Faust come figura della seduzione riflettuta e determinata dall'intelligenza. Il diario del seduttore si colloca in un punto centrale. Johannes è nella sfera estetica più opposta a Don Giovanni: alla seduzione spontanea si oppone la seduzione riflettuta e la riflessione seduttrice in Johannes poiché in lui il desiderio non è più separabile da una strategia cosciente della seduzione che non ha più niente del potere demoniaco della sensualità che animava ancora Faust. C'è quasi una serie di metodi che cinicamente il seduttore sfrutta: egli non desidera Cordelia, ma ama l'arte e la profondità con cui la seduce. Cordelia è solo il pretesto della soddisfazione dell'intelletto che trionfa nella sensualità.

Le figure estetiche giungono alla coscienza della loro posizione: sanno che l'estetica non è realtà. E' l'ironia che appare dietro il disvelamento delle apparenze e il riso è solo il sogghigno della morte sotto la maschera della delusione.

In cammino verso l'etica "l'ironie place l'individu devant l'alternative: ou bien demeurer dans la désillusion et le sentiment de la vanité de l'existence, ou bien faire le saut (spring) en choisissant l'éthique ou le réligieux".

 

Lo stadio etico.

Se l'unità della vita etica si oppone all'ottica del molteplice estetico, questo stadio qualifica la sfera di passaggio dall'estetica al religioso. In L'Alternativa e gli Stadi sul cammino della vita, la sfera etica è confrontata con la sfera estetica, e si evidenzia come l'uomo etico elimini ciò che è nella vita estetica diversità, incostanza e caso.

Per Kierkegaard l'etico è colui che realizza la sintesi concreta dell'esistenza all'interno della comunità. L'etico che considera la morale come principio fondamentale della sua condotta e come fine ultimo dell'agire si propone di obbedire al dovere. L'etico considera e conta di raggiungere e raggiunge la coerenza, obbedendo all'assoluto del dovere. In L'Alternativa l'etico che è il giudice Wilhelm rivendica contro l'estetica l'alternativa di un'esistenza reale. E' lui che pone la prima alternativa (l'aut aut o eller eller) fra l'etica e l'estetica.

Con l'etica, l'estetica che è caso e dispersione si supera, con la scelta di sé. La scelta assoluta di sé non è scelta relativa e condizionata, ma l'autodeterminazione di volere sé stessi. Scegliendo l'etica si scopre il nisus formativus della volontà dell'uomo, come radice soggettiva dell'etica. Nell'etica la personalità è centralizzata in sé stessa. L'etica, come appare chiaro dal motto che la contraddistingue cum pietate felicitas, scopre il senso della vita nella gioia dell'azione, nella convinzione che la generosa obbedienza al piacere debba procurare la felicità. L'etico non può vivere senza felicità se no si dispera. Gli amici di Giobbe ad esempio si comportano come etici quanto mai coerenti. Il matrimonio realizza attraverso l'unione dell'uomo e della donna la sintesi di tutti gli aspetti ed è la forma finita della riconciliazione dell'esistenza con sé stessa e un'attualizzazione concreta. Decidersi di unirsi vuol dire rompere l'illusione dell'immediatezza dell'amore come vive l'esteta.

La morale che è saggezza e buon senso risolve i problemi della vita; ma per Kierkegaard essa comporta anche il grave pericolo di far dimenticare all'uomo che è e deve essere un singolo. L'etica in quanto costituisce la legge del generale favorisce la tendenza insita in ognuno di noi di perdersi nella folla. Perciò l'etica è buona in sé, nel livello individuale, ma la norma etica è negativa quando tende ad identificarsi con l'opinione comune.

Kierkegaard osserva che l'etica è contraddittoria e che come tale non è che un punto di passaggio. La forma più alta dell'etica è il pentimento che assume in sé l'amore per Dio. Inoltre il peccato per l'etica è un ostacolo insormontabile: L'etica si pone nell'ideale e contrasta con il reale che è il peccato che fa perdere ad essa la sua idealità. Il peccato pone l'uomo al di fuori del dovere sociale e lo connette strettamente a Dio. Kierkegaard perciò asserisce che essa non si afferma che negandosi, vale a dire facendo intervenire il peccato che esige il salto dialettico e fa appello alla trascendenza del religioso.

 

 

Lo stadio religioso.

A partire da Il Concetto dell'Angoscia, Kierkegaard ha sempre ridotto l'importanza della vita etica rispetto a quella religiosa. In La Postilla Conclusiva sostiene addirittura che solo l'atteggiamento religioso rispecchia la vita reale cioè la vita alla luce di Cristo.

Lo stadio religioso viene trattato nelle opere: Timore e Tremore, La Ripresa, I Discorsi Edificanti, Il Concetto di Angoscia, Stadi sul cammino della vita, Scuola di Cristianesimo.

Essendo questo stadio al centro del nostro interesse, ne darò qui descrizioni generali in quanto approfondite e riprese a livello analitico (cfr. Cap. IV e V).

La domanda di Dio ad Abramo di consegnargli il figlio va al di là dell'etica, causando la scelta che il padre fa contro ogni legge sociale e umana: il sacrificio del figlio. Abramo può sacrificare Isacco in virtù dell'assurdo e ciò supera la dimensione etica. Con la rassegnazione infinita e la fede, Abramo non come Agamennone che, eroe tragico dell'etica, sacrifica la figlia Ifigenia "Exitus ut classi felix faustusque daretur", ma compie il suo dovere in relazione con l'Assoluto.

Il conflitto fra etica e religione si determina come conflitto fra dovere relativo (famiglia, comunità) e dovere assoluto, cioè tra una morale oggettiva e un'etica soggettiva come quella di Abramo in Timore e Tremore. Questa distinzione di due etiche conduce all'interno della sfera religiosa dell'esistenza: la prima etica è la morale oggettiva, a partire da cui il Cristianesimo si manifesta come seconda etica o etica soggettiva cioè del singolo. La distinzione effettuata dal Post-scriptum all'interno dello stadio religioso fra il religioso A e il religioso B (cristiano) corrisponde alla distinzione fra prima e seconda etica nel Concetto di Angoscia.

Il religioso A non sente la differenza qualitativa infinita fra l'uomo e Dio. Il religioso A mettendo l'accento sulla soggettività nel rapporto, rimane all'interno dell'immanenza, subordinando il rapporto a Dio al rapporto a sé. Questa indeterminazione crea una religiosità irrisolta, come nel pagano che prega il suo idolo con la passione dell'infinito. Chi ha questa religiosità prega un Dio interiore che è la sua coscienza, è il daimon socratico che è l'assoluto presente in ogni uomo, scoperto nell'interiorità. Tale religiosità A è quella naturale, quella che è di ogni uomo, quella che non appartiene a un culto determinato.

Il religioso B vive l'esistenza nella concentrazione paradossale dell'eterno in una figura singolare che è parsa in un momento determinato dal tempo e dalla storia. "Dans le réligieux paradoxal, l'éternel est à un endroit déterminé et cela est précisément la rupture avec l'immanence. Le paradoxe n'est plus dans le rapport d'une subjectivité à une vérité qui n'est pas elle-même paradoxale, il est dans l'éternel qui est devenu à un moment déterminé du temps". Con la figura di Cristo cessa l'idea di un rapporto indeterminato a un'unità che è ubique et nusquam; il paradosso di Cristo e della sua vita come avvenimento storico è quello di non avere storia perché esso è la radice della storia e la compie. La venuta di Cristo è paradossalmente astorica nella sua storicità e ciò fa sì che il cristianesimo non possa considerarsi qualcosa di semplicemente storico. Solo la fede può essere sensibile nella contemporaneità al paradosso della storicità astorica di Cristo che non può essere un semplice personaggio storico, ma che è figura eternamente esistente, rivelatore del Padre, generato e non creato, della stessa Sostanza (homousios).

Credere vuol dire rendere presente ciò che è presente, poiché Cristo è l'assoluto. Cristo è "il paradosso che la storia non può digerire in un sillogismo universale". C'è perciò una reale sottomissione a Cristo come Modello e Salvatore.