GIUSEPPE UNGARETTI:

HOMO VIATOR

 

 

Massimiliano Badiali

Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d'Egitto. I genitori, contadini lucchesi, vi erano emigrati per motivi di lavoro : operaio allo scavo del Canale di Suez fu il padre Antonio. che morirà due anni dopo la nascita del poeta.

L'attività paterna gli permette comunque di fare gli studi superiori in una delle più prestigiose scuole di Alessandra. Legge Baudelaire, Leopardi, Nietzsche; frequenta le file anarchiche; segue, attraverso le riviste, la vita letteraria italiana e francese. Dal '12 è a Parigi ove conosce Picasso, De Chirico, poi Papini e Palazzeschi.

Allo scoppio della prima guerra mondiale è a Milano, poi soldato semplice sul fronte del Carso. Nel '16 esce il suo primo libro di versi: Il Porto Sepolto in seguito incorporato nel volume L'Allegria di Naufragi.

Appare per(amo evidente questo connubio di " parola " e " vita " nella poesia di Ungaretti, come egli afferma : " poesia è il mondo l'umanità, la propria lira / fioriti dalla parola(…) La , poesia , si caratterizza per la sua bellezza (la " parola " carica di stupore elle accoglie, nel mio " diluente Cemento, "

La realtà si presenta col suo volto folle (" delirante ") e caotico-fumeggiante (" fermento "): solo la parola poetica può restituire la passione trasparente e nuova (" fioriti "), alla contemplazione stupita (" limpida meraviglia ").

Ma solo una parola incarnata, incisa in profondità (" alfisso "), estratta con sacrificio e pianificata. Solo una parola così può aspirare ad avere il compito di purificazione della realtà per coglierne la verità, ed essere pertanto" poesia >: un 'fare' pienamente umano.

La parola è per Ungaretti " atto di verità ": per questo nel SUO primo libro viene sfrondalo ogni termine superfluo ed eliminata la punteggiatura; eloquenti diventano gli spazi bianchi, brevissimi i versi, così da mettere in evidenza (la prima e l'ultima sede di verso) quasi ogni parola.

La strada dei poeta segue la dinamica delle discesa verso Il Porto Sepolto, la 'sub-stantia'. la verità essenziale che dimora sotto la superficie delle cose; è, scavo, trivellazione verso l'" abisso ", penetrazione " nel buio abissale di sè ", alla scoperta del mistero che dimora nella profondità dell'animo e della realtà. Per questo è ascesa verso Dio: " L’origine della poesia è il contatto dell'uomo con Dio, è il contatto dell'uomo che non sa, che non potrà mai sapere ". Quel Dio amato dall'uomo. eppure razionalmente inconoscibile, si rende però incompreso dal poeta che racconterà: < Nel '28, dal monastero di Subiaco dove avevo trascorso ospite una settimana... seppi che la parola dell'anno liturgico mi si era fatta vicina ".

E non era una normale settimana quella; era bensì , la settimana Santa, nel monastero di Subiaco, dov'ero ospite del mio vecchio compagno don Francesco Vignanelli. monaco a Montecassino ".

L'incontro con questo amico " anche lui prima incredulo poi convertitosi ", come ci avverte, il biografo Leone Piccioni, in un luogo ove tutto parla della pace nella santità, in no tempo in cui si fa memoria (lei come del Mistero della redenzione attraverso la croce, diventa l'occasione fragile ma potente della 'metanoia' del poeta; "fonte di urla nuova dell’onda creativa".

In quei giorni il poeta scrive infatti gli Inni che costituiscono il cuore del suo secondo libro: il Sentirmento del tempo.

Definirà questo gruppo di liriche e in particolare La Pietà " la prima manifestazione risoluta di no uno ritorno alla fede cristiana ", quella fede da cui si era allontanato negli anni dell'adolescenza.

Sposato da anni, nel '36 Ungaretti, il figlio d'emigranti lui che, nato in Egitto, ha sognato l'Italia come Terra Promessa, si vuol garantire una vita decorosa alla moglie ed ai figli deve di nuovo: sarà fino al '42 a San Paolo (le] Brasile, professore di Letteratura italiana nella locale Università. Questi anni dapprima sereni sono poi segnati dalla sofferenza personale (la perdita del fratello Costantino; la straziante agonia e morte del figlio Antonietto di 9 anni nel '39) e collettiva per il cataclisma bellico che incombe nel mondo. Queste drammatiche esperienze sono alla radice del terzo grande libro ungarettiano: Il dolore.

Di fronte a tanta violenza scatenata da uomini abbagliati da ideologie materialiste, più ione si fa la coscienza religiosa del poeta; più netta la scelta per una " vera poesia " che. in contrasto coi tempi, trovi la forma adeguata come egli dice -" per annunziare prima e poi per attestare. sempre mossa da interno e immediato suggerimento, la venuta, la predicazione, la passione, la crocifissione, la morte, la Resurrezione (le] Messia ". Ed ancora , la poesia riafferma sempre, è la sua missione, l’integrità, l'autonomia, la dignità della persona umana ".

Di questo duplice ma unico compito si è fatto carico la poesia di Ungaretti llungo questo secolo, fino al 1970, anno della morte del suo autore, fino a noi, perché la vera poesia non muore.

L'ALLEGRIA è una lirica a struttura chiusa, circolare: il titolo rimanda all'ultimo verso " porto la mia anima " e da questo è spiegato. Dire " porto " per il nostro Ungaretti equivale a " sono schiacciato " da un peso immane, come è confermato in altro contesto dai versi: " ci rinveniamo a marcare la terra / con questo corpo / che ora troppo ci pesa ". E altrove il poeta parlerà dell’" anima . . . tra due silenzi assoluti ". Ecco il cuore dei dramma amano: un non sapere, non capirsi, non conoscere cosa c'è aldilà eli questo segmento materiale di vita tragicamente concluso tra due silenzi assoluti.

 

PESO

Quel contadino si affida alla medaglia

di Sant'Antonio e va leggero.

Ma ben sola e ben nuda

senza miraggio porto la mia anima

Ma la raccolta si pone il problema religioso come confronto tra due tipi umani. Sono due commilitoni: da una parte il fante Ungaretti, dall'altra " quel contadino soldato " (così suonava. il primo verso nell'originale edizione del '16). Ma quel semplice uomo a differenza del poeta è sostenuto da coraggio diverso vive di una certezza cui si " affida ", cioè a cui dà fede, e poi questo " va leggero ". La sua è la condizione polarmente antitetica a " peso ", al " portare ": è l'essere portati da Alto

Non c'è ironia o un senso di intellettualistica superiorità in questi versi di Ungaretti. C'è piuttosto una profonda esigenza di certezza

Nello stesso giorno oltre a Peso il poeta compone altre due liriche in cui l'apertura al Mistero si scioglie in esplicita domanda (due di quei cinque punti interrogativi che sono gli unici segni d'interpunzione dell'Allegria) che chiama per nome l’Altro. Una è Risvegli ove, alla fine di questa ode pacificamente contemplativa, il poeta si rammenta " di qualche amico morto " ed è costretto a paragonarsi con la realtà del limite ultimo della vita: di qui l'improvvisa domanda " Ma Dio cos'E’".

L'altra lirica è appunto Dannazione. La condanna cui allude il titolo è declinata in tre passaggi: dalla piccolezza dell'uomo all'infintilamente grande. il " cielo ", attraverso il polo intermedio delle " cose ~>. Ognuno dei tre poli è connotato negativamente dalla presenza del limite: "chiuso" è l'uomo-pocta, ingabbiato nella realtà materiale, le " cose ", che a loro volta sono " mortali ", destinate a perire, ed <~ anche il cielo stellato ", massimo segno di perennità che esperienza sensibile possa percepire, è destinato a " finire ". Ma la lirica non si chiude qui; si apre invece alla domanda: l'uomo che sente il peso del limite si protende verso l'illimite; la sofferenza per i vincoli personali e cosmici lo rende anelante verso l'assoluto; comincia così ad elevarsi verso " Dio > ancora chiamato per nome.

Chiuso fra cose uguali (Anche il Cielo stellato finirà): dirà il poeta, commentando Leopardi: Ungaretti esprime qui il suo 'senso religioso.

Come Destino anche Fratelli, scritta a distanza di tempo, è una lirica connotata dal punto interrogativo, dalla contestazione inquieta che, salita il Dio, ora ridiscende sulla condizione umana.

Il Destino comune ad ogni essere vivente, ad ogni cosa in quanto " fibra creata " è, il " travaglio ": una cosmica sofferenza che è però origine di corale lamento e di domanda di senso solo negli uomini: "Volti al travaglio/ fibra creata/ perché ci lamentiamo noi?". Secondo la leopardiana lezione dell'umana solidarietà nel dolore (La ginestra), Fratelli ne è quasi la ravvicinata risposta: " Nella mia poesia noti c'è traccia d'odio per il nemico né per nessuno. C'è la presa di coscienza della condizione umana della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell'estrema precarietà della loro condizione ".

La lirica presenta una struttura chiusa, compatta, abbracciata da " fratelli " che è insieme titolo e ultimo verso, parola-verso e verso-strofa, dunque graficamente staccato ed evidenziato; ma so è il cortine della lirica, " fratelli " ne è anche il perno, l'asse portante, comparendo al secondo verso proprio nella domanda, ed essendo poi richiamato nelle tre strofe seguenti dall'apposizione (" Parola - Foglia - rivolta "). Una struttura così circolare ed impermeabile è giustificata dalla verità umana che ha illuminato il poeta e che questi vi ha voluto esprimere: " qualche volta la verità mi ha illuminato senza contrasti. Fui soldato nelle trincee, nella prima guerra mondiale, negli umili miei canti .sentivo la parola 'fratelli' nascere nella notte ... ".

 

FRATELLI 1916

Di che reggimento siete, fratelli?

Parola tremante

Nella notte

Foglia appena nata

Nell'aria spasimante

involontaria rivolta

dell'uomo presente alla sua

fragilità

Fratelli

In Memoria è la poesia dell'identità, delle radici. Moammed Sceab è l'amico d'infanzia e di studi di Ungaretti; sono poi insieme nelle battaglie ideali ad Alessandria e nell'avventura letteraria a Parigi. Ma qui, in un giorno d'estate del ' 13 l'amico si toglie la vita.

La prima parte della lirica, dall'andamento paratattico e dal ritmo scandito da epigrafe funeraria : la poesia è costruita sulla giustapposizione di proposizioni in gran parte principali, con cinque verbi all'imperfetto interrotti di una sequenza centrale di tre flash al passato remoto. Gli imperfetti, tempo della durata e del ricordo nostalgico-patetico, sono tutti ( tranne il primo " si chiamava " che introduce l'identità perduta e le sue radici "dell’amico discendente di emiri di nomadi") preceduti dall'avverbio di negazione: "NON aveva; NON era; NON sapeva".

E' così connotata l'autodistruzione come esito della privazione dell'essenziale: sinteticamente privazione della " Patria ". Analiticamente impossibilità di costruirsi una nuova identità "con le proprie mani, perchè l'identità è sempre donata, Mai autoprodotta: " non era francese "; impossibilità di ricucite, una volta tagliato, il cordone ombelicale con " la tenda dei suoi ", con la dimora abbandonata, con quel luogo in cui il 'gusto' della materialità della vita (" gustando un caffè ") discenele da quella visione religiosa dei mondo che è afinicintata dalla frequentazione quotidiana del sacio: " la cantilena dei Corano "; quindi incapacità di risposta personale, di preghiera, poesia, " canto ", nenia in cui esprimere il proprio affidarsi (" abbandono ").

Foglia appena nata

Nell'aria spasimante involontaria

rivolta dell'uoino presente alla sua fragilità

Fratelli

Per questo . (Inedita)

Non sapeva più vivere : letteralmente non trovava più sapore nella vita era come gelato (" non sapeva sciogliere ") nelle sorgenti della propria creatività: il suicidio è allora il completamente materiale di una morte che nel cuore era già avvenuta. Ma all'origine di questo sgretolamento interiore un fatto improvviso, scandito dalla puntualità dei triplice passato remoto, dal ritmo vorticoso di quelle tre brevissime proposizioni poste al centro di questo primo blocco, la terza strofa, con una espansione nella quarta: " amò la Francia / e il suo nome // Fu Marcel ".

IN MEMORIA

Si chiamava Moammed Secab

Discendente di emiri di nottuadi suicida

Non perché non aveva più Patria

Amò la Francia e

il suo nome fu Marcel

E' il tentativo di darsi artificialmente una Patria e una identità, una Patria cioè una identità, tentativo che contiene già in sè fisiologicamente il germe dell'inevitabile di sconfitta.

Le ultime tre strofe sono costruite su una sintassi più composita con i verbi delle principali al presente L" riposa " -" so ") mediati da un iniziale passato prossimo (, l'ho accompagnato "); altro elemento di novità è l'ingresso in scena dei poeta come soggetto (6a e 8,1 strofa) sintattico e sostanziale: è infatti liti il depositano della " memoria " di quella vita prematuramente interrotta. Ma l'elemento di maggiore novità è il tono: non più l'essenzialità epigrafica, ma la prosasticità discorsiva, quasi da resoconto di un cronista, con abbondanza di particolari logistici e impressioni che apparentemente descrivono un panorama esterno (" vicolo ", " sobborgo ") ma in realtà celano il sedimentarsi sulla pagina di un panorama interno all'autore. e ne accompagnano l'infinita tristezza (" appassito " " decomposta "), in quel passaggio dall'estrema povertà del corteo funebre (due sole persone) alla finale 'solitudine' del poeta nel ricordare.

Il tema del recupero della 'profondità' come superamento dell'alienazione e riappropriazione dell'identità, di cui IN MEMORIA è l'esemplificazione in negativo, è positivamente svolto in termini autobiografici nella lirica a cui il poeta ha esplicitamente affidato il compito di sintetizzare la sua prima stagione 1 FIUMI

Se il libro " L'Allegria " è " la presa di coscienza di se ", questa è una " scoperta che prima adagio avviene. poi culmina d'improvviso in un canto scritto il 16 agosto 1916, in piena guerra e che s'intitola I FIUMI. Vi sono enumerate le quattro fonti che in me mescolavano le loro acque, i quattro fiumi il cui moto dettò i canti che allora scrissi ".

" Finalmente mi avviene in guerra di aver una carta d'identità: i segni che mi serviranno a riconoscermi (e proprio nel momento in cui, dopo lunghe peripezie vane, il mio reggimento può balzare in avanti), i segni che mi aiuteranno a riconoscermi da quel momento e di cui in quel momento prendo conoscenza come "miei" segni: sono fiumi, vano i fiumi che mi hanno affermato ".

Ma perchè proprio il fiume assurge a tale supremo simbolo della vita, così intensamente posseduto dal poeta tanto da parlare di " 'miei' segni " e nella lirica due volte ridefirrirli " miei fiumi"?

Ci pare di poter avanzare l'ipotesi che il meccanismo scattato per analogia nella poetica ricerca ungarettiana di un segno sintetico di ciò che è veramente " condizione umana nella sua essenza ", sia il seguente: come il fiume è 'apparentemente' un semicerchio concluso tra sorgente e foce, tua 'sostanzial niente' è invece un cerchio, un cielo dell'acqua che dalla foce torna a rigenerare continuamente la sorgente, così la vita fluviaria. ',superficialmente' curva tagliata ai due estremi da nascita e morte (o coneepimento-disfacimento) è invece 'profondamente' un cerchio che in un punto totalmente Altro, assoluto, cioè sciolto dai vincoli storici, trova il suo luogo di ricongiungimento; da lì prende origine, poi è nella storia plasmato, " intriso ", infine li ritorna.

La lirica sembra presentare in orizzontale una struttura ad inclusioni progressive concentriche essendo possibile riscontrare un cerchio più esterno che congiunge prologo ed epilogo, fungendo l'orizzonte notturno da punto di fusione (implicato dalla " luna " all'inizio; esplicito infine: " ora ch'è notte "): ad un primo livello è dunque la notte la condizione esterna che abbraccia e permette di 'far memoria'; un secondo cerchio si può tracciare tra i vv. 27 " Questo è l'Isonzo " e 62 " Contati esterno che congiunge prologo ed epilogo, fungendo l'orizzonte notturno da punto di fusione (implicato dalla " luna " all'inizio; esplicito infine: " ora ch'è notte "): ad un primo livello è dunque la notte la condizione esterna che abbraccia e permette di 'far memoria'; un secondo cerchio si può tracciare tra i vv, 27 " Questo è l'Isonzo " e 62 " Contati nell'Isonzo": è questo il fiume del presente che abbraccia il passato e ne autorizza, nella ritrovata armonia interna, il recupero; una terza palese inclusione è data dai vv. 45-46 e 61 perfettamente identici, pur nella diversità di distribuzione metrica rispettivamente in due ed in un verso, "Questi sono (/) i miei fiumi", ove l'accento cade su quel possessivo, indice di autoriconoscimento, proprio come nell'autocommento citato il poeta li aveva definiti " I miei segni", evidenziando il possessivo con le virgolette; infine, ultima inclusione, vv. 47-60, compaginati dall'anafora " Questo è il vero cuore della lirica a cui il titolo chiaramente rimanda: la teoria dei tre fiumi che hanno costituito I' " io " dell'autore.

Ma proprio questo " io " è il cuore del cuore della lirica, l'asse portante, in verticale, dell'intera struttura, con rimando e raddoppio tra pronomi personali (" mi- me ") e aggettivi possessivi (" mio - mia - miei - mie ") sempre di prima persona singolare che riconducono ogni sequenza, ogni strofa all'interiorità del poeta.

Questo " io " è un po' come un sasso gettato in uno stagno, la vita piatta e priva di senso: la superficie sarà movimentala da cerchi concentrici, ma alla fine il sasso si fermerà e resterà nel profondo; lo stagno tornerà piatto e immobile com'era all'inizio: notte era e notte resta.

Mi tendo a quest’albero mutilato

Abbandonato in questa dolina

Che ha il languore

Di un circo

Prima o dopo lo spettacolo

E guardo

Il passaggio quieto

Delle nuvole sulla luna

Stamani mi sono disteso

In un’urna d’acqua

E come reliquia ho riposato

L' Isonzo scorrendo mi levigava

come un suo sasso

Ho tirato su

Le mie quattr’ossa

E me ne sono andato

Come un’acrobata sull’acqua

Questi sono i miei fiumi

(…….)

Questa è la mia nostalgia

che in ognuno mi traspare

ora eh' è notte

che la mia vita mi pare

una corolla

di tenebre.

Questa lirica del '19 che chiude il libro L'Allegria presenti una radicale novità: si affaccia sol futuro escatologico, ovvero sul proprio destino finale di uomo dopo la morte.

La novità è poi lessicale, semantica e metrica: lessicale in quanto al lontano " Dio ", oggetto di domanda in Dannazione e Risvegli, subentra il più vicino e familiare " Signore ", interlocutore della preghiera umana; semantica perchè elementi di materiale linguistico giù osato in posizione di evidenza, con palese connotazione negativa (Peso, Naufragi), qui appaiono cambiati di segno; metrica infine, dato che ai versi di tante liriche precedenti subentra ora ora sequenza di un settenario e cinque endecasillabi del SENTIMENTO DEL TEMPO

LA PREGHIERA è' il culmine dei quattro Inni del '28, poetica testimonianza della conversione cristiana di Ungaretti. E' il quieto e accorato placarsi di quella azione drammatica iniziata con la liturgica " felice colpa " (l'allusione è al peccato d'Adamo che ha originato la Pasqua del Redentore) di Danni con fantasia e passata attraverso le struggenti domande di Caino (" Anima, non saprò mai calmarti? ") e de La Pietà, " ... itinerario dell'immagine poetica in Dio, nel Dio cristiano ".

Quando nel '56 Ungaretti tenterà un bilancio della sua vita-poesia dirà: " nella mia vita drammatica ... più affondata nel male che slanciata verso il bene, qualche volta la verità mi ha illuminato senza Contrasti ", e citeremo subito dopo Fratelli proprio La preghiera. Ed è luce che " senza contrasti " scende, nelle prime tre strofe della lirica, ad illuminare i tre momenti che legano l'immemorabile inizio del reale con l'attimo presente, attraverso il passato custodito dalla memoria storica; è illuminazione che, nella seconda parte della poesia, si muta in preghiera al Signore della luce, in risalita che, secondo l'integrale dispitgai si della -curva comica' (la dinamica dapprima discendente poi ascendente verso un universo redento: è la struttura portante di questo testo), la condurrà a chiudersi in allo: guidata dal " salisti " di Cristo e passando per l’ascetica "scala" del peccato umano, approda " lassù " ("E lassù formeranno ... ") nel luogo alto del sapere, dell'unità, della richezza vera. Confessa infatti il poeta.

Da lassù solo può venirci il sapere, il sapere che unisce... E' lassù l'unica fonte di ricchezza spirituale ".

Questa seconda parte è costituita di sei strofe, l'ultima aperta dall'ottativo " Vorrei " mentre le prime cinque sono costruito sull'imperativo, la forma di preghiera dell'uomo certo, evangelicamente sicuro che "chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto ". Con perfetta simmetria si alternano le tre terzine unite dall'invocazione liturgica, l'anafora "Fa' che - Fa' che - Fa' ancora che ", ed i due versi-strofa in cui l'imperativo è variato in " rasserena >, e IL DOLORE

Siamo nel 1943-'44, nel cuore mesto della secondi guerra mondiale. A Roma, dove il poeta ora risiede infuriano i bombardamenti. Proprio l'inferno bellico gli fa sgorgare dall'animo la sua lirici più straziante e sublime.

La poesia di Ungaretti acquista i contorni di una personale e comunitaria 'Via crucis' lungo le pendici aspre del nuovo Golgota. E' tiri altissimo inno alla sofferenza umana assunta nella croce di Cristo.

Ai quattro fiumi del '16, le fonti che hanno formato il poeta, se ne aggiunge ora un quinto: il Tevere, Roma, il punto d'incontro tra cultura greco-latina ed ebraico-cristiana. Il Dio di cui nel '16 vedevamo solo "quelle occulte divinità" ora ha un volto: nel (Cristo si è svelato il Padre, Origine e Destino di quel 'cerchio' della vita a cui simbolicamente il fiume rimanda. La lirica si apre con un lunghissimo periodo di quarantasei versi solo nell'ultimo troviamo il punto fermo e li principale "Vedo ora chiaro", dopo una fittissima serie di secondarie in gran parte temporali. Questa particolare giustapposizione di segmenti sintattici in attesa della principale costringe ad un intenso crescendo-accelerando nella lettura, che solo in chiusura può placarsi. 'Climax' sintattico dunque, mi anche retorico: è dato dalla martellante anafora "Ora che " (e relative variazioni) che apre i quattordici segmenti lirici, chiusi poi da punto e virgola: quattordici stazioni di una 'Via crucis' fino a quell'alba nuova di conoscenza che tutte le spiega.

Infine 'climax' tematico. proprio come saliti verso Falba a cui tende quella , notte " su cui si erano chiusi i fiumii : qui si apre questi lirica. Estrapoliamo la serie di versi che funziona di "Ieit motiv del testo:

v, 2 - Ora che notte già turbata scorre

v. 13 - (Ora che scorre notte già straziata

v. 18 - Ora che già sconvolta scorre notte

Pii proprio che il poeta abbia voluto fu camminare la " notte " lungo il verso, dal suo inizio fino all’approssimarsi dell'alba, che poi giungerà ai vv, 46-47: , Vedo ora chiaro nella notte triste. Il Vedo era nella notte triste, imparo ". I versi citati si configurano così carne perno strutturale della lirica, sintetizzandone in filigrana la dinamica, il motivo ascendente dal buio alla luce, dalla lontana ma quanto presente!) " corolla di tenebre " all'attuale " chiarezza ".

Incontreremo l'origine di questa certezza (ribadita dalla rima interna "chiaro-imparo ") ai vv. 57-58, quando Unguretti inizierà così il suo inno all'irruzione dell'Eterno nel tempo: ",pensoso palpito, l Astro incarnato nell"umane tenebre ". In quella " notte straziata ", " sconvolta ", in quella realtà per due volte definita " notte triste " è possibile " vedere chiaro " perchè vi dimora quella luce. Ed è inizio di no giudizio nuovo sulla vita: la radice del male nel mondo è l'empietà, il sottrarsi alla logica della pietà di Cristo. Non la Sua " bontà / s'è tanto allontanata,>, bensì antiteticamente è " l'uomo" che ",si sottrae, folle, " alla logica della Croce la gratuità, la carità della propria vita da parte dell'Uomo-Dio poichè ogni vita sia rispettata come dono e affermando dirà il poeta" il valore unico e sacro di ciascuna persona umana ".